Un solo gregge guidato da Dio
“ Io sono il buon pastore“. Questa espressione con la quale Gesù si autopresenta nel vangelo dà l’intonazione alla liturgia della parola di questa domenica. Con questa tematica si armonizza anche il brano del kèrygma sviluppato da Pietro, nella prima lettura, davanti ai capi del popolo e agli anziani di Gerusalemme. Si tratta di un annunzio : mediante la risurrezione dai morti, Dio Padre ha fatto di Gesù la “pietra angolare”dell’edificio della salvezza; in nessun altro c’è salvezza. In queste parole si intravedono due coordinate del disegno divino di salvezza : l’iniziativa di Dio e l’apertura universale della salvezza, offerta per mezzo di Cristo a tutti gli uomini.
Nel brano evangelico, in effetti, Gesù si identifica con il “buon pastore” e si contrappone al “mercenario”, di fronte a un “gregge” che non è mai sicuro, perché continuamente minacciato. Il buon pastore è “per” le pecore, affronta il rischio per la difesa del gregge; instancabile, egli va alla ricerca della pecora smarrita, chiama i dispersi, gli sbanditi, gli emarginati, i rifiutati; accorre dove c’è uno che non ce la fa più, schiacciato sotto il peso del dolore, della solitudine, dell’incomprensione, ecc. Questo ritratto del pastore ideale è un modello del servizio e dell’impegno pastorale dei responsabili della comunità.
Invece, nell’ottica del mercenario, le pecore sono “per” il suo interesse, le sue comodità. E’ un calcolatore (“pastore”) che vede il gregge in funzione dei propri conti, del proprio piedestallo, del proprio nome e vantaggio. Questa presentazione negativa e insistente della figura del mercenario ha un chiaro risvolto ecclesiale e riproduce i tratti tipici del “falso pastore” della tradizione biblica. Anche la minaccia del “lupo” richiama la situazione della comunità cristiana esposta alle tensioni interne e alle ostilità esterne.
« conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me… ». Si tratta, nella tradizione biblica, di quella conoscenza che non ha niente da fare con la semplice intelligenza, ma è questione di amore e di un rapporto di profonda comunione. E’ in forza di questo legame di conoscenza e di amore che Gesù “buon pastore” dona la sua vita “per” le pecore. Con un pastore di questo genere non è più possibile vergognarsi di appartenere alle chiesa, gregge di Cristo. Ognuno ha un valore unico ai suoi occhi. Egli è attento a ciascuna delle sue pecore.
Le “altre pecore” che non appartengono a “questo ovile” sono i pagani. Si tratta della prospettiva universale della salvezza, recata da Cristo, che abbraccia tutto il genere umano. Cioè Gesù è il Messia escatologico che ha ricevuto dal Padre il compito di condurre l’umanità intera per realizzare la promessa biblica di “un solo gregge e un solo pastore”. Si coglie allora più facilmente lo spressore cristologico e soteriologico-universale della formula”io sono il buon pastore”.
Don Joseph Ndoum