La Sacra Sindone, segno di contraddizione che in realtà mette paura a tutti
La ricorrenza della Pasqua invita ad una riflessione sulla Sindone di Torino. Non vorrei ripercorrerne la storia, che ormai molti conoscono; ma vorrei soffermarmi su alcuni aspetti di maggior interesse speculativo. Quando l’avvocato Secondo Pia nel 1898 fotografò la Sindone e ne fece conoscere attraverso i negativi fotografici i sorprendenti dettagli, si scatenò una bagarre di studi e di considerazioni che vide immediatamente delinearsi lo “scontro” tra studiosi che ne prendevano spunto per riconoscere il Telo come il sudario in cui fu avvolto Gesù nel sepolcro e studiosi che, sotto la spinta del crescente approccio neopositivista della scienza nei primi decenni del ‘900, ne negavano l’autenticità.
Il dibattito, che nei secoli precedenti aveva contrapposto, ma in modo fievole, i cattolici ai protestanti – in specie valdesi – andò progressivamente assumendo una colorazione nettamente scientifica, mentre la Chiesa continuò a considerare la Sindone – pur se con molta circospezione – una reliquia del Cristo, e si fermava lì. Del resto, si veneravano anche i resti della Vera Croce e dei chiodi, quindi perché non il sudario che riportava per filo e per segno tutti i dettagli della Passione? Qualcuno notò alcune apparenti stranezze: i chiodi non erano stati infissi nei palmi delle mani, come l’iconografia millenaria indicava, ma nei polsi. Il che, nell’interesse scientifico che stava montando pure sul piano storico, fu considerato un segno di veridicità della Sindone: se si fosse trattato di una immagine pitturata o ricreata ad arte, avrebbe riportato i contenuti iconografici tradizionali e non quelli realmente richiesti da una vera crocifissione (il buco nel palmo delle mani non avrebbe tenuto al peso del corpo e si sarebbe strappato).
Studi e dibattiti continuarono; ad esempio i fratelli Judica Cordiglia di Torino, esperti di fisica e di fenomeni elettrici, negli anni ‘60 notarono che l’immagine era costituita da una leggera strinatura delle fibre del telo, come se fosse stata prodotta da una sollecitazione fotoelettrica. Alla fine degli anni ’70 un gruppo di studiosi, per la maggior parte credenti (ma non tutti) dette vita allo STURP, Shroud of Turin Research Project, che ebbe il permesso di analizzare a fondo la Sindone. Ne emersero dettagli importanti: la tridimensionalità dell’immagine, il verificarsi di uno straordinario fenomeno di irraggiamento subito dal telo, la presenza di emoglobina nelle macchie di sangue, tracce di pollini e di terra di origine gerosolimitana e palestinese, ecc.
Tutti dettagli che sembravano testimoniare, con l’autenticità della Sindone, anche la probabilità di un fenomeno inusitato come la Resurrezione. Qualcuno cominciò a ritrovare presunte tracce della presenza della Sindone precedenti il 1350, data certa della sua prima esibizione in pubblico in Francia: ad esempio a Edessa, in Turchia, nel VI secolo. La reazione della scienza razionalista fu violenta; al di là delle accuse di falso indirizzate a vari studiosi dello STURP, si cercò di dimostrare che la Sindone era una falsa reliquia prodotta nel medioevo da un abile falsario. Sotto la spinta della scienza razionalista, la Chiesa concesse alla fine di dare alla Sindone un’età, mediante radiodatazione C14; come è noto, il team di ricercatori coordinati dal prof. Tite del British Museum datò il Telo tra il 1260 e il 1390, coincidente con la sua prima apparizione in pubblico. Insomma, con questo dato, un cosa era certa: la Sindone NON era il sudario che aveva avvolto Cristo, era proprio un falso medievale. Ne emerse subito, per la Chiesa, la necessità di ridimensionarne il culto della Sindone a icona, non come reliquia; una icona, in termini semiotici, è una rappresentazione. Quindi si poteva venerare la Sindone come un ”ricordo” della Passione tanto quanto il Crocifisso di Cimabue o Cristo deposto del Mantegna. Non di più. Niente eventuale prova della Resurrezione. Ripresero vigore le teorie sulla formazione artigianale dell’immagine: mediante pittura, mediante bruciatura su una statua di pietra, fu tirato in ballo con immaginifici giochi storiografici perfino Leonardo da Vinci e qualcuno più generoso concesse che magari nel medioevo una povera vittima fosse stata costretta a ripetere l’esperienza della Passione, forse in Palestina, pur di ricreare un falsa reliquia ben dettagliata da rivendere in Europa. Sembrava comunque che l’attenzione dell’opinione pubblica scemasse, visto che l’enigma doveva considerarsi risolto.
La Sindone tuttavia è destinata a produrre scompiglio. A restare un mistero, una provocazione. E il dibattito è ripreso. Ma con una distribuzione di ruoli se possibile più confuso nello schieramento in campo. Nei convegni sulla Sindone a cui ho partecipato negli ultimi vent’anni e analizzando la letteratura scientifica su di essa ho visto di tutto: gente di qua e di là dello schieramento che si arrampicava sugli specchi della logica per difendere la propria opinione, ma soprattutto ho riscontrato che tra gli “Autenticisti” ci sono studiosi atei incuriositi e possibilisti, mentre tra i “Negazionisti” ci sono credenti che non accettano “prove”. Il fatto è che con il passar del tempo si è potuto constatare che la radiodatazione del 1988 presenta molte discrepanze e molte forzature: pasticciato il procedimento tecnico-metodologico, errato il luogo di prelievo dei frammenti di telo da esaminare (un bordo forse rimpiazzato e ricucito nel medioevo, certo arricchito di C14 – più ce n’è più il reperto è giovane- a causa di incendi, strusciature di mani, vicinanza di candele accese, ecc.), impossibilità di riprodurre correttamente l’immagine con strumenti antichi e/o moderni da parte di un eventuale falsario. Nel frattempo, un esperimento condotto dal prof. Di Lazzaro all’ENEA dimostrerebbe che una stoffa simile al telo si può arricchire sì di immagini come quelle contenute nella Sindone, ma solo impiegando un lampo di luce laser di grande potenza che richiede una quantità di energia gigantesca anche ai nostri tempi.
Quindi la Sindone, mentre i Negazionisti continuano a sfoderare le loro armi per insistere sul falso medievale, offre improvvisamente segnali in contraddizione con quello che la scienza aveva cercato di dire con una parola definitiva nel 1988 e apre nuove e impensabili prospettive. Se si fa un breve giro di internet si trovano sostanzialmente due tipi di annunci: “La Sindone è autentica, lo dice la scienza” e “La Sindone è un falso, lo dice la scienza”. Ma lo schieramento dei negazionisti, qualche difficoltà in più oggi ce l’ha, alla luce delle più recenti considerazioni e sperimentazioni…Qualcuno invita quindi la Chiesa a concedere nuovi studi diretti sul Telo: molti sono convinti che si possano trovare ancora “prove”- forse dirimenti – della sua autenticità. E qui, si verifica uno strano fenomeno. La Chiesa nicchia. Anzi, qualcuno a suo tempo insinuò che, subito dopo la datazione del 1988 che proclamava falsa la Sindone, molti teologi e cardinali mandarono un sospiro di sollievo. Come è possibile? Pensiamoci bene. Dice Dante: “State contenti, umana gente, al quia; ché se potuto aveste veder tutto, mestier non era parturir Maria”. Teologicamente, la salvazione dell’Uomo passa attraverso la fede, e questa si sorregge già sulla parola di Vangeli: non c’è bisogno di altre prove e i “miracoli” dei Santi sono soltanto corollari, sottolineature della santità di questi personaggi. Del resto non è Paolo a sentenziare: “Se Cristo non è risorto, la nostra fede è morta”, e per ristorare la fede si affida proprio agli evangelisti? Se questo era vero nel I e nel II secolo, dove nessuno si sognava di mettere in dubbio le parole quanto meno dei Vangeli Canonici, qualche difficoltà in più ce l’ha il fedele contemporaneo, alle prese con un illuminismo e una scienza che ci hanno insegnato a basare la nostra conoscenza sulla razionalità, sul riscontro empirico, sulle prove. Oltre tutto, le scienze bibliche sono molto divise sulla autenticità di certi passi evangelici: si va da una revisione critica di studiosi cattolici come Meier ad un sostanziale scetticismo del Jesus Seminar, che non solo non riscontra nessuno degli “ipsissima verba” di Gesù nei Canonici, ma ne denuncia la funzione meramente catechetica ed esornativa e persino la redazione tarda.
Checché ne dicano alcuni studiosi credenti, che talvolta hanno anche la malaugurata idea di confondere ricerca e culto, esponendosi al facile dileggio critico dei negazionisti, la Sindone in realtà mette paura. Terrorizza gli atei, perché li chiama a negarla senza offrire loro alcun concreto appiglio; impegna i credenti, perché non dà loro conferme e li costringe a parlare prudentemente e genericamente di “Uomo della Sindone”; sconvolge la Chiesa, qualora l’immagine sindonica fosse l’autentica prova della Resurrezione, perché introdurrebbe un elemento di certezza in un percorso che invece deve essere di fede, di fiducioso abbandono nelle mani di Dio. In ogni caso, aveva ragione Giovanni Paolo II, che dopo essere stato privatamente rimbrottato dai suoi consiglieri perché una volta gli era scappato di definire pubblicamente la Sindone una “reliquia”, definì quell’immagine sul telo come il “testimone silenzioso” che provoca riflessioni, discussioni, incertezze e ci interpella come scienziati, credenti, agnostici, atei, insomma come esseri umani.
Francesco Mattioli, sociologo
LA SINDONE NON È AUTENTICA… MA È AUTENTICA LA FEDE CHE HA SUSCITATO!