Combattere il dolore umano, mettere al centro l’uomo, non cedere all’eutanasia!
Roberto ha lasciato la sua Sardegna. Un viaggio mesto, lungo, faticoso lo ha portato in Svizzera: il suo ultimo viaggio, perché Roberto è andato a morire. L’ha voluto lui, con lucida determinazione. Ha solo 34 anni, questo giovane sardo che da un anno soffre di Sclerosi laterale amiotrofica. Deve essere stato terribile, per lui, come per tutti coloro che si sono ritrovati nella stessa condizione, assistere all’avanzare della malattia.Non ce l’ha fatta, Roberto e si è arreso. Contro il parere dei genitori che erano amorevolmente disponibili a condividere con lui il dolore, le angosce, le speranze e le sconfitte che la nuova vita gli andava prospettando. La mamma ha voluto accompagnarlo, insieme alla fidanzata e al fratello, in quello che lui chiamava il «viaggio della salvezza»; il papà, no, non ce l’ha fatta, è rimasto a casa. A Roberto, alla sua famiglia, vogliamo esprimere la nostra vicinanza, il nostro affetto, ma, soprattutto, assicurare la nostra preghiera.
Ci viene da piangere. Accompagnare un figlio morto al camposanto è tra le esperienze più dolorose che può sopportare un essere umano; accompagnarlo, vivo, verso la morte deve essere a dir poco devastante.Come devastante deve essere la notizia per chi sta combattendo contro lo stesso morbo, per tentare di strappare alla vita ancora qualche anno, qualche abbraccio, qualche sorriso. E devastante è anche per chi crede che la vita è sua e non è sua, gli appartiene e non gli appartiene, perché l’uomo, ogni uomo, è un essere in relazione.
Le domande di sempre, che questo nostro tempo, per certi aspetti, scettico e distratto, sembra volere accantonare, in momenti come questi, prepotentemente, rialzano la voce. Il discorso sull’eutanasia, sul suicidio assistito, sull’aborto, va al di là delle convinzioni personali o ideologiche, e coinvolge l’intera società civile. Mi rendo conto che una cosa è essere presenti a se stessi, organizzare e gestire le proprie giornate, altra cosa è assistere al decadimento del proprio corpo che più non obbedisce ai tuoi comandi. Nessuno oggi osa giudicare nessuno. A Roberto e alla sua famiglia un grande abbraccio.
Senza smettere, però, di continuare a scrutare il grande mistero della vita, oltre ogni paura, per tentare di capire quanto ancora rimane da capire dopo secoli di riflessioni filosofiche e teologiche.La drastica decisione di voler morire, presa da un fratello ammalato, non può non coinvolgerci. Sarebbe impensabile il contrario. Al di là di ogni motivazione personale, nella quale non ci permettiamo di entrare, o ideologica e politica, e, finanche morale e religiosa, ci chiediamo con grande serietà se per le persone affette da Sla, in Italia, si sia fatto tutto, ma proprio tutto, per rendere meno penose le loro giornate; e se si stia facendo tutto per insegnare, implementare, condividere a tutti i livelli la cultura della vita, anche e soprattutto di fronte alla sofferenza e alla vita nascente.
Una cosa è certa, occorre evitare di ricorrere al lugubre ritornello che la sofferenza renderebbe queste vite ‘non dignitose’. Non degna di essere vissuta la vita sofferente? Al contrario. Purtroppo, il dolore, il non senso, la depressione, i tanti limiti e povertà cui sono soggetti gli uomini, riescono sempre a trovare la strada per intrufolarsi in questa nostra stupenda e fragilissima umanità. E quando vengono a bussare alla nostra porta ci rendiamo conto di quanto siano nemici cinici e impietosi. Inizia allora la battaglia – doverosa e giusta – per mandarli via, sconfiggerli, o, almeno, renderli meno aggressivi e velenosi. Sono battaglie dure, lunghe, snervanti, benedette, che, però, riescono anche a farci riflettere su tanti aspetti della vita sui quali, in genere, si sorvola. È in momenti come questi che l’uomo scopre la propria e l’altrui fragilità, la bellezza e l’importanza della solidarietà e dell’educazione alla pietà. È in questi momenti che si apprezza di più la vicinanza degli amici e della comunità, l’abnegazione e la fatica del personale ospedaliero o di chi, nel chiuso di tanti laboratori sparsi per il mondo, studia, suda, scopre. È vero, la malattia, ogni grave malattia, ti porta via tante opportunità, ma ti dona anche uno sguardo più limpido e profondo che forse non sapevi di avere. Il dolore umano è e rimarrà sempre il nodo con cui deve fare i conti l’uomo di ogni tempo, ateo o credente che sia. Combatterlo in ogni modo, con serietà e onestà; mettere l’ammalato al centro, prima di ogni interesse economico, ideologico o politico; resistere alla tentazione di ogni funerea rassegnazione, è il meglio che tutti possiamo fare. Padre Maurizio Patriciello.
“nessuno oggi osa giudicare nessuno”… Senza smettere però di continuare a scrutare il grande mistero della vita, oltre ogni paura, PER TENTARE DI CAPIRE. “…..il dolore umano è, e rimarrà il nodo con cui deve fare i conti l’uomo di ogni TEMPO. Stai attento a quello che vorrei comunicarti. Se avessi un cancro, o un grave morbo, che mi sta annicjilendo dolorosamente o uccidendo, e il medico dicesse” Bene, caro amico, ve lo dovete tenere. Cosa dovrei fare. Suicidarmi? Eutanasia? Sto discutendo a livello teoretica, se proprio avessi un cancro mortale, allora dovrei decidere, dovrei considerare il da farsi. Non sarebbe una questione teoretica. In quel frangente dovrei trovare la cosa più intelligente da fare. Sto dicendo forse che non dovrei pormi questa domanda a livello teoretica, ma solamente se mi trovassi realmente in quella situazione? Proprio così. Perché allora mi vomporyerei secondo il mio condizionamento, la mia intelligenza, il mio modo di vivere. Se la mia vita si è basata sulla fuga e l’evasione, su un sistema nevrotico, allora assumerei un comportamento anch’esso nevrotico. Ma se ho condotto una vita veramente intelligente, nell’assoluto significato della parola, allora, quell’intelligenza agirebbe quando ci fosse un cancro mortale. Allora potrei rassegnarmi, potrei vivere i pochi mesi o anni che mi restassero… Certo, potrei anche non farlo(il disagio e il grande dolore)… Ma non diciamo che il suicidio, assistito o no, sia inevitabile. La vita è meravigliosa, divina, e ci dagrande felicità, straordinaria bellezza, grandi benefici, e noi abbiamo accettato tutto ciò. E abbiamo egualmente accettato l’infelicità, e questo fa parte dell’intelligenza. Ora mi capita una malattia terribile, invalidante… Dal l’epilogo mortale.. E dico”non posso più sopportarlo, devo perciò mettere fine alla mia vita. “. Perché non muoverci con lei, vivere con lei, cercare di scoprire qualcosa su di lei mentre continuiamo a vivere? In altre parole non esiste una risposta alla domanda finché non ci si trovi nella situazione adatta. Ma è proprio per questo che è così importante fronteggiare il fatto, fronteggiare “ciò che è”, senza starci a teorizzare su. Se qualcuno è così ammalato e debilitato come Roberto… Senza più speranza.. Qual’e ‘ la cosa pi intelligente da fare, non per un semplice osservatore come me o te, ma per il medico, la moglie, la figlia, la madre. In realtà non si può rispondere, perché il problema riguarda un altro essere umano. E non si ha il diritto di decidere della vita o della morte di un altro essere umano. Ma lo facciamo. Tutte le tirannie lo fanno.. E lo fa la tradizione, la tradizione che insegna che si deve vivere in questo mondo e non in quell’altro. Ma bisogna che l’uomo, o la donna, che ha una siffatta malattia incurabile e così debilitante agisca secondo la sua intelligenza. Se è proprio intelligente-il che vuol dire che nella sua vita c’è stato amore, sollecitudine, sensibilità e gentilezza. Allora, una simile persona, quando sarà il momento, si comporterà secondo quell’intelligenza che ha agito anche in passato. Certo è che, oggi come oggi, vivere una vita che sia sommariamente intelligente richiede una straordinaria prontezza sia della mente che del corpo. Abbiamo compromesso la prontezza di entrambi con uno stile di vita innaturale. Conflitti, oppressione, esplosioni di violenza, strategie globali di controllo, ansie… Paure. Quindi, se si vive una vita che sia la negazione di tutto ciò, all’ira quella vita, quella intelligenza quando si troverà a confronto con una malattia incurabile agirà al momento opportuno. Si parlava del suicidio assistito e ho dato una risposta su come vivere nel modo giusto? Ma è l’unica risposta. Un uomo decide di morire, di buttarsi giù da un ponte, non sta mica a chiedere.. “mi suiciderei?”. Lo sta facendo. É finito. Mentre tu stai seduto tranquillo a casa o in sacrestia e stai a chiederti se un uomo si suiciderebbe o no. Tutto ciò non ha significato. Ma bisogna scoprire cosa c’è dietro. Io conosco un uomo che non si è mai suicidato. Un professore ex primario in un ospedale in Toscana. Sebbene abbia minacciato di farlo in almeno 2 occasioni. Ma alla fine ha desistito. Troppo pigro. Non fa niente. Vuole che tutti lo sopportino. Un uomo simile si è già suicidato. Vive dentro un muro di immagini. Perciò ogni essere umano he viva con una immagine di sé stesso, del suo ambiente, della sua ecologia, del suo potere politico o anche della sua religione, é già finito.. Ogni vita, immenso dono divino, va vissuta direttamente ed intelligentemente. In verità, è concludo, non ci si dovrebbe chiedere se sia giusto o no che il caro Roberto abbia compiuto un tale gesto… Ci si dovrebbe chiedere, a parer mio, che cos’è che genera quello stato della mente in cui non ci sono più speranze.per quanto la parola “speranza” non sia nemmeno giusta in quanto implica il FUTURO. IL TEMPO. PIUTTOSTO CHIEDERSI COME PUÒ LA VITA ESSERE PRIVA DI TEMPO? Una vita piena di AMORE.. Perché l’amore non è del TEMPO.