Prepariamo la strada al Signore che viene
Il filo conduttore della liturgia della parola di Dio di questa domenica è suggerito dal testo di Isaia, nella prima lettura, che viene ripreso all’inizio del brano evangelico. Si tratta dell’invito a preparare la strada del Signore. Anche l’esortazione di Pietro, nella seconda lettura, si inserisce in questo quadro di attesa.
Il profeta sembra assistere all’assemblea celeste in cui viene decisa una svolta importantissima nella storia di Israele. Per il popolo di Dio in esilio è annunciata la liberazione e il ritorno. Si sente una voce che dà un ordine: “Nel deserto preparate la via al Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio”, in modo da avere un tracciato regolare e predisporre così la via per la venuta del Signore. Nel linguaggio biblico la via rinvia spesso al simbolo del cammino del popolo di Dio che segue con fedeltà il Signore dell’esodo e dell’alleanza.
Il rimpatrio del popolo dalla deportazione, guidato da Dio stesso come al primo esilio, diventa incoraggiante prefigurazione del compimento della salvezza nel regno del Messia. Nella rilettura evangelica, prima che venga il Signore siamo anche noi in esilio e in schiavitù, a motivo dei nostri peccati. Ma egli appare: allora anche noi siamo liberati.
Nella lettura neotestamentaria Cristo è infatti annunciato come portatore universale di salvezza, che realizzerà “nuovi cieli e una nuova terra”. Per questo giorno di Cristo è necessario essere “integri e irreprensibili… ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo”. Di fronte agli scettici che irridono quelli che attendono il giorno del Signore, Pietro esorta i fedeli ad attenderlo con fiducia e responsabilità. Infatti il giorno del Signore non rientra nel ritmo cosmico del tempo calcolabile, perché “davanti al Signore un giorno è come mille anni, e mille anni come un giorno”. Inoltre, se egli ritarda nell’ adempire la sua promessa, lo fa per lasciare spazio alla conversione. Quindi, la sua venuta è certa ed imprevedibile, ed egli verrà come un ladro. Quelli che preparano questa venuta vivono in modo irreprensibile davanti a Dio, in pace.
La colletta di questa domenica raccoglie molto bene queste esortazioni: “Fa che il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio, ma la sapienza che viene dal cielo ci guidi alla comunione con Cristo, il nostro Salvatore”.
Promessa e gioiosa attesa connotano quindi questa domenica e ci concentrano nell’antifona d’ingresso che è come il motivo conduttore di tutta liturgia odierna: “Popolo di Sion, il Signore verrà a salvare i popoli e farà sentire la sua voce potente per la gioia del vostro cuore”(Is 30, 19. 30.).
Il brano evangelico comincia con la predicazione di Giovanni il battezzatore. Egli è la cerniera tra l’Antico e in Nuovo Testamento. La strada del Signore che sta per venire è ostruita. Occorre sbloccarla, togliendo l’impedimento costituito dal nostro peccato. Il contesto in cui “proclama” Giovanni è il deserto, come luogo della vicinanza, dell’intimità con Dio. Egli predica la conversione, cioè il cambiamento di mentalità e l’inversione di rotta. Si tratta dell’esigenza di un ri-orientamento della propria esistenza. Questo ravvedimento rappresenta la condizione per essere accolti e perdonati da Dio.
Giovanni si preoccupa di precisare che il “più forte” viene dopo di lui, e lui non è neppure degno di mettersi in ginocchio a prestare il servizio più umile, nei suoi confronti. Giovanni non concentra l’attenzione sulla propria persona: “Io vi ho battezzato con acqua, Lui vi battezzerà con Spirito Santo, cioè “Io vi ho immersi nell’acqua, Lui vi immergerà nello Spirito Santo”.
Giovanni non predica nella piazze, ma nel deserto. Questo potrebbe sembrare assurdo. Non si cerca un pubblico, si fa cercare. La parola di Dio comporta intensità, profondità e risonanza particolari in questo contesto; ed è nel “deserto”(totale) che l’annuncio trova la strada giusta per arrivare al cuore intimo dell’uomo. Il contrario del deserto è la lontananza da Dio e dalla salvezza.
Don Joseph Ndoum