Come accogliere i doni di Dio
Gesù ci parla questa domenica con la parabola dei talenti, che si inserisce nel tema escatologico dell’attesa della venuta del Signore. Un padrone, prima di partire per un viaggio, affida i suoi beni a tre servi. Durante la sua assenza, essi si distinguono per il modo di agire di fronte a questo atto di fiducia. Dopo molto tempo, il padrone ritorna e decide di regolare i conti con essi. La loro sorte dipende di come hanno agito nel tempo dell’attesa.
Il talento era una specie di grosso lingotto d’argento, col peso di circa trenta chili. Questo padrone è in realtà il Signore. I servi sono i fedeli; quel viaggio lontano del padrone indica l’Ascensione del Signore al cielo; i talenti sono i doni gratuiti fatti da Dio. E il talento fondamentale è quello della vita; posiamo pensare anche alla parola di Dio, alla fede, all’amore, alla speranza nel regno futuro; insomma, a tutto ciò che costituisce la ricchezza spirituale dei cristiani, questa che deve essere contagiosa e comunicativa.
Quanto al lasciare ai servi tutte le sue ricchezze, questo significa l’affidamento fiducioso. Il lungo tempo dell’assenza del padrone corrisponde a sua volta col tempo della nostra esistenza terrena, in cui ci troviamo con i nostri talenti, da fare fruttificare. Chi ne ha uno, chi due e chi cinque. Non ha importanza quanti sono, perché la ricompensa che alla fine ci viene consegnata dall’amore di Dio è uguale per tutti; e poi, a chi è stato molto donato sarà chiesto anche molto.
La parabola di questa domenica specifica comunque il dovere del credente che consiste, essenzialmente, nel “darsi da fare”, fruttificando i talenti ricevuti. Questa parabola, nello stesso tempo, esorta, incoraggia e mette in guardia. Il talento non viene conquistato o meritato, ma ricevuto in dono. “Mi sono fatto da me” non esiste qui. Tutto è grazia. E l’impegno giusto da parte nostra è soltanto la risposta umile, con rendimento di grazie a Dio, a un dono che ci siamo ritrovati tra le mani.
Il talento ricevuto va considerato giustamente nostro, ma alla fine deve ritornare al padrone. Ecco, generoso ma esigente è il Signore. Infatti, se viene fuori che i talenti li abbiamo sfruttati male, lui si mostra giustamente severo. Nessuno deve trascurare il dono che è in lui. E i nostri doni sono per gli altri.Il momento decisivo della parabola dei talenti è quello in cui i tre servi si presentano al loro padrone. La situazione dei primi due servi è perfettamente simile: il raddoppiamento dei loro talenti; e le espressioni del dialogo sono le stesse. Nelle parole del terzo servo, che ha nascosto il suo talento, è evidente la preoccupazione di autogiustificarsi. Non si è reso conto che il lingotto era suo (almeno durante l’assenza del padrone). Non si è dato da fare. Non è riuscito a credere all’amore, alla generosità e alla fiducia del padrone che lo interpella con due qualifiche: “Servo malvagio e infingardo”, che sono in antitesi con quelle rivolte ai primi due servi: “Bene, servo buono e fedele”.
Non esiste nessuna scusa di fronte alla responsabilità di agire con decisione e coraggio. Quello che risulta determinante, è l’impegno attivo, che dipende naturalmente dalla relazione di fiducia col Signore. Quello che manca al terzo servo (fannullone) è questa fiducia che mette in moto la responsabilità creativa, che sta anche alla base dell’elogio della donna saggia e perfetta, proposta come moglie giusta o ideale nella prima lettura. Ben superiore alle perle è il suo valore. Sue qualità etico-religiose sono la laboriosità, l’interesse per i poveri, il parlare con saggezza e bontà, la donazione totale ai suoi cari, il timore di Dio. Inoltre, fallace è la grazia (avvenenza) e vana la bellezza, ma la donna che teme il Signore è quella da lodare. E’ quella che rende felice il marito. Infatti, il timore di Dio, ecco quello di cui bisogna soprattutto vantarsi.
Anche la lettera di Paolo, nella seconda lettura, si colloca in questa prospettiva di fiducia e di responsabilità attiva. L’esortazione paolina riguarda particolarmente il modo di vivere nell’attesa del Signore. L’ignoranza dei “tempi e dei momenti” del “giorno del Signore” è una minaccia costante solo per chi vive nella falsa sicurezza degli empi ed increduli. La venuta improvvisa del Signore, come un “ladro nella notte”, non dovrebbe trovare impreparati i cristiani, che per vocazione sono chiamati a sempre vivere nell’attesa, nella vigilanza e nella sobrietà.
Don Joseph Ndoum