La Didattica a distanza lascia indietro chi è svantaggiato e fa disamorare chi era entusiasta
Quando, tre mesi fa, le scuole erano ancora aperte, mia figlia era una bambina che amava scrivere, studiare, imparare, vivere otto ore al giorno con i suoi compagni e le sue insegnanti.
Poi l’emergenza da Covid-19 ci ha costretti in casa e siamo passate a un onesto “Mi sbrigo a fare i compiti, così posso andare a giocare”.
Ora, dopo quasi tre mesi di didattica a distanza, devo combattere ogni santo giorno con tutto il mio impegno di genitore contro svogliatezza e demotivazione:
“Uff, mamma. Lo so che devo farli, ma mi annoio tantissimo”.
Per molti dei nostri figli, a questo punto di un anno che se non definisco perso è solo per un residuo di folle ottimismo, la scuola è diventata qualcosa di vago e indefinito, privo di attrattiva. Un dovere noioso e insensato, anche se noi genitori assicuriamo loro che no, la scuola è importante, è preziosa, che settembre è dietro l’angolo e bisogna farsi trovare pronti. Ma “pronti” a cosa, di preciso?
Che la didattica a distanza non sia scuola, né una soluzione vincente (checché ne dica la nostra ministra dell’Istruzione) insegnanti e famiglie lo hanno capito da un pezzo.
La famigerata DAD non è scuola perché la scuola è socialità, sfida, emozione, è lasciare la propria comfort zone per misurarsi con i coetanei, dividere la merenda e scambiarsi le matite, fare amicizia tra i banchi, sbagliare, sbagliare di nuovo, imparare.
La scuola è sperimentarsi come persone in un contesto accogliente e stimolante. La scuola è inclusione, valorizzazione delle diversità.
La scuola è un diritto, non dimentichiamolo mai.
Sono tre mesi che noi genitori gestiamo la didattica a distanza nel silenzio totale del Governo e del suo ministro.
E cosa succede quando chiediamo una riapertura delle scuole a settembre organizzata, sicura, sostenibile?
Succede che le capre da tastiera (che di solito non sono genitori, oppure hanno dimenticato cosa significhi esserlo, o forse si sentono talmente bravi da credersi categoria a parte rispetto ai comuni mortali) ci dicono “Voi volete parcheggiare i figli a scuola”.
Ecco, questa è la cosa che, anche se non vorrei (vorrei essere superiore, ignorarli, volteggiare con soave indifferenza sopra le loro teste vuote), mi manda fuori di testa.
Care capre da tastiera, solo un paio di cosette vorrei dirvi, e poi mi taccio.
Il fatto che vi azzardiate a infilare nella stessa frase le parole “scuola” e “parcheggio” la dice lunga sulla vostra considerazione dell’istruzione, non su quella altrui. Probabilmente perché voi per primi avete passato i vostri anni da studenti parcheggiati dietro un banco a scaccolarvi, anziché a farvi una cultura (lo si evince dal tenore dei vostri ragionamenti).
Care capre da tastiera che mangiate odio e insoddisfazione a colazione, c’è solo una cosa da fare quando non si conosce un argomento: tacere.
Dovreste tacere quando un genitore auspica la riapertura delle scuole. Dovreste avere rispetto della fatica, della preoccupazione, della nostra competenza. Perché vi assicuro che in questi mesi abbiamo raggiunto livelli di stanchezza inimmaginabili, abbiamo ragionato e ci siamo informati per trovare il modo migliore di accompagnare i nostri figli attraverso l’incubo della didattica a distanza, abbiamo imparato moltissimo su noi stessi e i nostri limiti, sui nostri figli e sulla considerazione pari a zero che chi ci governa ha (da sempre, perché non è una novità) dei bambini e dell’istruzione.
Abbiamo anche raggiunto la conclusione che così non si può continuare perché questa non è scuola, e non è nemmeno la vita che i nostri figli meritano. E nemmeno quella che meritiamo noi. Nessuno di noi.
I bambini, i ragazzi, hanno diritto ad essere considerati. Hanno diritto a un rientro a scuola in sicurezza.
Finché non avremo risposte, finché non vedremo un impegno concreto per la riapertura delle scuole, noi faremo sentire la nostra voce.
Tacete, se non capite questo.
Tacete se non capite che non è volerci sbarazzare dei nostri ragazzi per capriccio, ma volerli vedere costruire il loro futuro nel luogo che gli appartiene e gli spetta di diritto. Quel luogo si chiama scuola, e la scuola è la base della formazione personale, della socialità, è fiorire alla vita che verrà.
Tacete mentre spreco tempo a spiegarvi queste cose, che mai capirete perché per voi, ormai, è troppo tardi.
Non è troppo tardi per i nostri bambini e i ragazzi, ai quali auguro di diventare persone migliori di voi: loro meritano molto di più di una didattica fredda e impersonale che lascia indietro chi già partiva svantaggiato e fa disamorare chi era pieno di entusiasmo.
Tacete mentre noi genitori spendiamo ogni momento delle nostre vite a reclamare ciò che deve essere.
Sogno di salutare i miei figli alle sette e cinquanta di mattina davanti alla scuola.
Sogno di tornare a prenderli otto ore dopo, chiedere loro “Cosa hai fatto?” e sentirmi rispondere il solito “Niente”.
Perché in quel “Niente”, in realtà, c’è tutto.