Cuccioli di leonessa
Il 17 ottobre 1950 in casa Guareschi arriva un diploma. No, non è un diploma scolastico, è il Diploma di Benemerenza fi prima classe con facoltà di fregiarti della Medaglia d’Oro conferito alla madre di Giovannino Guareschi, Lina Maghenzani, per i suoi 49 (ma sul Diploma c’è scritto 40) anni di servizio come maestra. Peccato che il Diploma rechi la data del 22 dicembre 1949 e sia arrivato 10 mesi dopo: il 13 luglio del 1950 Lina è morta e non ha potuto vedere di persona il riconoscimento. In compenso lo vede suo figlio, che, nel testo intitolato Il diploma della signora maestra (Corrierino delle famiglie, BUR, 1986), da un lato si lancia contro la farraginosa burocrazia italiana (perché con la sua lentezza ha tolto a Lina questa piccola soddisfazione), dall’altro esprime con grande forza il proprio affetto per la madre.
Il breve testo è diviso in due parti. Nella prima Giovannino parla direttamente alla madre, descrivendole il Diploma e raccontandole cosa ne pensa e come avrebbe festeggiato con lei, se fosse arrivato prima; nella seconda si rivolge, invece, ai burocrati per esprimere tutto il suo odio nei loro confronti.
Mettiamo un attimo da parte l’odio e, in occasione della “Festa della Mamma”, concentriamoci sull’amore figliale.
Guareschi scrive: “io ti avrei comprato una bella medaglia d’oro e te l’avrei appuntata al petto e tu saresti partita per il gran viaggio con la tua medaglia”. Quanto orgoglio di un figlio per la propria madre! Che bello vedere come si possa davvero gioire in maniera del tutto disinteressata, solo perché la propria madre è felice.
Giovannino vorrebbe portare il Diploma sulla tomba della madre, ma sa che si rovinerebbe. Allora “metterò il Diploma in cornice e lo appenderò al muro al quale è appoggiato il mio tavolo da lavoro. E ogni tanto lo guarderò. Fin che avrò negli occhi un po’ di quella luce che tu m’hai dato, approfittando di un giorno di vacanza” (Guareschi nacque il 1° maggio 1908). Anche a 50 anni un figlio non cessa di essere figlio. Nel profondo del cuore il cordone ombelicale non è mai stato tagliato. Non è questione di “essere mammone” (accusa rivolta agli Italiani in generale e ai maschi in particolare), bensì del fatto che l’amore per la madre è atavico. Lo hai, letteralmente, nel sangue e non puoi farci niente. Anche se tua madre è la peggiore del mondo, anche se per ogni sorriso ti regala 10 sberle, in fondo al cuore tu le vuoi bene. Nella sua grandezza, è un dono tremendo.
Per fortuna la maggior parte delle madri non rientra nella categoria “madre peggiore del mondo”, anche se un po’ tutte, in qualche momento della loro vita, hanno pensato di farne parte. Non si rendono conto, però, che agli occhi dei figli i piccoli errori – commessi per inesperienza o stanchezza – vengono presto cancellati dai grandi abbracci.
Guareschi stesso dice di non essere stato un figlio semplicissimo da gestire: “Tu mi hai insegnato a vivere e a morire: ma io sono il tuo peggior scolaro. Io, adesso, sono il tuo Franti, quello che faceva piangere sua madre”. Eppure, rivolgendosi ai burocrati, dice anche: “vi odierò tenacemente. Anche se avete rubato un solo secondo della vita di mia madre; anche se, semplicemente, le avete tolto un sorriso”. Il cucciolo della leonessa è diventato leone e il figlio adulto difende la fragilità della madre, quella madre a cui riconosce, con grande ed espressiva semplicità, di dovere tutto. In quel “mi hai insegnato a vivere e a morire” è infatti compresa la vita tutta. Perché questo fa una madre: con i suoi gesti e le sue attenzioni, più che con le parole, insegna ai figli il mistero della Vita che lei, come donna, conosce senza averlo mai studiato e trasmette senza averlo mai spiegato.
Voglio quindi concludere questa breve riflessione prendendo ancora una volta a prestito le parole del mio adorato Guareschi, di nuovo rivolte ai lenti burocrati: “Sono uno solo, ma il mio odio è immenso come l’amore che ho per mia madre”. Ecco. Immenso. Indescrivibile. Irrinunciabile. Questo è l’amore per la madre. E non possiamo farci niente.