Come sta andando la scuola “a distanza” per gli studenti con sindrome di Down
Studenti con Sindrome di Down, tra didattica a distanza ed esami di Stato. AIPD fa il punto
Come sta andando la scuola “a distanza” per gli studenti con sindrome di Down? Quali sono le attenzioni necessarie a garantire l’inclusione e in quale misura vengono messe in campo? E come saranno gli esami – di terza media o di maturità – per chi dovrà sostenerli? Nicola Tagliani, dell’Osservatorio scolastico AIPD, prova a fare chiarezza, in un momento di grande confusione
Può la didattica a distanza assicurare l’inclusione, oltre che l’istruzione? In che modo la stanno affrontando gli studenti con Sindrome di Down? Con quali difficoltà e con quali supporti viene loro garantito il percorso scolastico “a casa”? E come sarà il futuro prossimo, sopratutto per coloro che dovranno affrontare l’esame di Stato? In attesa che le prossime disposizioni governative chiariscano il destino di milioni di studenti, l’Associazione Italiana Persone Down, tramite il suo Osservatorio Scolastico, prova a chiarire alcuni punti. Mentre sul sito è disponibile da tempo una pagina dedicata e in continuo aggiornamento con “Materiali utili per la scuola ai tempi del Coronavirus”, Nicola Tagliani, responsabile dell’Osservatorio, ha elaborato una scheda tecnica di approfondimento, che qui sintetizziamo.
Didattica a distanza e disabilità, un primo bilancio. La premessa è che “gli studenti con disabilità più degli altri risentiranno negativamente della sospensione delle attività didattiche in presenza, anche per gli aspetti di socializzazione e di relazioni interpersonali concrete che sono venute a mancare – spiega Tagliani – In generale, nelle scuole in cui l’inclusione funzionava bene “in presenza”, essa continua a funzionare anche a distanza, essendo state attivate modalità adeguate per i nostri ragazzi. Tanti di loro invece sono stati ‘dimenticati’ e per loro la scuola è solo un bel ricordo”.
L’incognita sugli esami. Con il trascorrere delle settimane e la prospettiva, sempre più concreta, che le scuole non riaprano prima di settembre, cresce la preoccupazione per la valutazione finale, soprattutto per gli alunni che devono sostenere gli esami di stato conclusivi del primo e del secondo ciclo. “Il nuovo Decreto Legge n° 22 ha cominciato a delineare le possibili modalità di svolgimento degli esami, sia nell’ipotesi (remota) di un ritorno a scuola entro il 18 maggio, sia nel caso (molto più probabile) di una sospensione della attività in presenza fino alla fine dell’anno scolastico – spiega Tagliani – In ogni caso ci sarà una semplificazione degli esami (si possono vedere tutti i dettagli nella nostra scheda normativa n° 632. Il Decreto Legge sulla conclusione dell’a.s. 2019/2020 e l’avvio dell’a.s. 2020/2021 (DL 22/2020)). Il Decreto accenna anche velocemente al fatto che, qualunque sarà la modalità di esame applicata, dovrà tener conto delle esigenze degli alunni con disabilità, DSA e ulteriori BES”.
Esami e disabilità intellettive: diploma o attestato? In attesa che le prossime ordinanze ministeriali definiscano le specifiche modalità operative per gli esami di quest’anno, restano valide le attuali normative, con ciò che queste prevedono anche, nello specifico, per gli studenti con disabilità . Particolarmente complessa è la questione degli esami conclusivi del secondo ciclo e del relativo conseguimento di un diploma o, in alternativa, di un attestato.
“Il conseguimento del diploma – ricorda Tagliani – è possibile solo per quegli alunni che hanno svolto durante il proprio percorso di studi una programmazione riconducibile ai programmi ministeriali, anche se semplificata per obbiettivi minimi (equiparabili al livello di apprendimento che ciascun docente per la propria disciplina reputa “sufficiente” per tutti gli alunni). In sede di esame l’alunno può svolgere allora prove equipollenti, cioè diverse da quelle dei compagni per contenuti e modalità, ma che devono misurare livelli di apprendimento analoghi a quelli dei compagni. Diverso il caso in cui l’alunno abbia svolto una programmazione differenziata: in questo caso, anche l’esame conclusivo avverrà con prove differenziate tarate sugli obiettivi del proprio PEI: non si conseguirà il diploma, ma un attestato che certifica i crediti formativi maturati durante il percorso di studio, in quanto criterio per la valutazione saranno gli obiettivi del proprio PEI e non i programmi ministeriali. “Questa differenza con il primo ciclo – osserva Tagliani – è dovuta al fatto che il diploma di scuola secondaria di secondo grado è in qualche modo ‘professionalizzante’ e quindi si può ottenere solo svolgendo un programma riconducibile a quello ministeriale. La forza dell’inclusione scolastica italiana – fa notare – è sempre stata la possibilità di realizzare percorsi di studio personalizzati e individualizzati per tutti gli alunni. L’idea è quella di dare la possibilità a tutti di svolgere un percorso scolastico tarato sulle proprie competenze, indipendentemente dalla disabilità. Questa possibilità di scegliere tra programmazione semplificata per obiettivi minimi e programmazione differenziata è la concretizzazione di questo principio di pari opportunità, ma comporta effetti formali finali diversi: diploma o attestato”.
Una scelta cruciale, nell’interesse primario dell’alunno. La scelta sul tipo di programmazione da svolgere è un aspetto “molto delicato e importante – afferma ancora Tagliani – Per questo riteniamo che debba essere presa con un accordo condiviso tra scuola, famiglia e operatori socio-sanitari che hanno in carico l’alunno, mettendo al centro il benessere dello studente. L’effetto finale di tale scelta (diploma o attestato) non dovrebbe, invece, essere il criterio per scegliere il tipo di programmazione. Nella nostra esperienza abbiamo costatato più volte che, per esempio, per un successivo inserimento lavorativo efficace non conta tanto il titolo di studio posseduto dalla persona o neppure le sue conoscenze teoriche di cultura generale (entro certi limiti), quanto la sua capacità di entrare nel ruolo di lavoratore: rispetto dei tempi, dei compiti affidati, della gerarchia, delle regole, del rapporto con i colleghi e con i superiori, della cura di sé, ecc. Oggi circa il 13,5 % delle persone con sindrome di Down lavora e sono l’autonomia e la capacità di svolgere in modo adeguato i propri compiti che lo rendono possibile. È su questi aspetti e sulla documentazione delle competenze raggiunte che la scuola può e deve offrire il suo contributo nella crescita e nella formazione dei ragazzi, occorre che nel Pei o altro Progetto vadano condivisi come obiettivi i prerequisiti sul funzionamento adattivo che poi ci permetteranno di lavorare con il sostegno di un Job Coach esperto nei contesti naturali a cominciare dalle esperienze di progetti ponte e di transizione scuola lavoro. Bisognerà ora vedere come gestire questi aspetti così delicati alla luce delle nuove modalità di didattica e di valutazione a distanza che si rendono necessarie quest’anno”, conclude Tagliani.
Ufficio Stampa AIPD
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