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Achille Lauro: una copia venuta male di vecchi concetti

Ho letto l’intervista di Achille Lauro su Il Corriere. Da tanti considerato un genio musicale, un anticipatore dei tempi futuri, un vate da ascoltare e adorare.

Ebbene, in questa intervista prima dice che suo padre era un avvocato e professore universitario, che ha scritto quattro libri e che per meriti insigni divenne consigliere per la Corte di Cassazione. Un po’ più sotto, parlando di lui, dice che l’ha visto sbattersi tutta la vita senza ottenere ciò che si meritava.

Poi, continua rispondendo per frasi fatte, del tipo che non si è innamorati di ciò che sia ha ma di ciò che non si ha più (vi ricorda mica “Il Simposio” di di Platone?), oppure che la sua canzone sanremese è un invito a vivere il momento (il “carpe diem” di Orazio? Roba vecchia).

Sarà, ma io non ce la faccio a lasciarmi trascinare da questi innamoramenti collettivi, soprattutto se si tratta di personaggi che travestono antichi dogmi da messaggi innovativi, che tali sono soltanto per chi non ha mai letto un classico o non ha mai sentito parlare di Cicerone, di Seneca o di Aristotele.

E infatti, la fortuna di “artisti” del genere è che sono tantissimi, a non avere idea di chi sono costoro. Sarò antica, ma se voglio apprendere pensieri e consigli di vita, preferisco attingere dagli originali, piuttosto che alle copie (a volte, pure mal fatte).

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