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A chi fa paura un’Ave Maria?

Succede che il 13 ottobre la professoressa Clara Ferranti, ricercatrice di Glottologia e Linguistica al Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università di Macerata, fa lezione a un centinaio di studenti di Lingue e Lettere. Alle 17:30 in punto si interrompe e li invita ad alzarsi in piedi e, chi vuole, recitare l’Ave Maria, una «preghiera per la pace» che quel giorno a quell’ora, nel centenario dell’apparizione della Madonna di Fatima, si tiene in varie parti d’Italia.

Alcuni studenti pregano, altri rimangono in silenzio. Di lì a poco l’episodio finisce sui social. E un comunicato di fuoco dell’Officina universitaria, un’associazione studentesca, denuncia «la limitazione della libertà personale» subita dai ragazzi, aprendo chiaramente uno strascico polemico che ha avuto una risonanza bel più ampia del semplice ambiente universitario marchigiano.

Essendo anch’io un docente di scuola superiore, probabilmente avrei fatto una scelta differente, se mi fossi trovato nella stessa situazione della professoressa Ferranti, ma nello stesso tempo non posso non restare basito di fronte ad una ristrettezza di vedute così sconfortante. A chi fa male una preghiera oggi? Possibile che pochi secondi, durante i quali ad ogni modo si è pregato per la pace nel mondo, e nel pieno rispetto della diversità di vedute e delle scelte religiose di tutti, possano aver aperto un vespaio tanto grottesco? Possibile che si è ancora schiavi di questi assurdi steccati ideologici?

Non posso non associare questo episodio con quello che vide coinvolto Papa Benedetto XVI nel 2008, quando dovette rinunciare alla sua lectio magistralis all’Università La Sapienza di Roma (nonostante il suo passato di esimio docente universitario), per le vigorose proteste sollevate da docenti e studenti (qualcuno arrivò a minacciare forme di protesta addirittura più vigorose di un semplice disappunto!) più o meno per le stesse motivazioni (all’epoca si contestavano in maniera piuttosto pretestuosa alcune sue uscite sul processo a Galileo Galilei), quando invece le stesse porte furono aperte a Francesco Schettino per un seminario sulla gestione del panico…

Sono e sarò sempre sostenitore di una fruttuosa ed intelligente laicità dello Stato, intesa come spazio comune in cui ciascuno sente e professa la libertà della propria espressione della fede e delle idee. La laicità come punto di incontro! Ma mi chiedo se questo isterismo bacchettone che ha scosso la comunità universitaria maceratese per una preghiera per la pace recitata da una professoressa (senza, peraltro, obbligare nessuno a recitarla con lei) sia, più che l’espressione della difesa di uno spazio comune, l’ultimo scampolo di un laicismo censore e autistico, che vede “minacce” alla sacra libertà di pensiero (salvo quindi negarla quando non è obbediente ai propri parametri) persino in una preghiera recitata con buoni propositi. Per dirla in altri termini: davvero un’Ave Maria oggi fa così tanta paura?

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