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Quando un uomo muore

Era un maggio caldo e di festa a Civitavecchia dove ero con la mia famiglia dal giorno 15. Mio padre, sindacalista da una vita, ci portò con lui poiché impegnato nell’organizzazione e nello svolgimento fb_img_1495606168959della Prima Festa dell’Ulivo. Il luogo in cui si svolse era un parco un po’ desolato ma in poco tempo, grazie allo spirito e alle buone intenzioni, nonché all’ospitalità del gruppo di lavoro, quel prato un po’ brullo fiorì di occasioni di scambio culturale, opinioni politiche e sociali, confronti e idee che avvaloravano l’operato di una classe politica impegnata nel rispetto e protezione delle conquiste sociali. Il tutto era accompagnato da laboratori per giovani, bancarelle, musica e buon cibo. Per noi giovani, poco interessati alla politica, ad onor del vero fu una vacanza bella e buona. Legai amicizie e trascorsi pomeriggi al mare. Quando ero tra “i grandi” mi rendevo utile sorridendo e distribuendo volantini, girando tra gli stand e comprando ogni tanto qualche souvenir. Mi fermavo spesso ad ascoltare le risa delle belle persone appena conosciute, lo reputano un ottimo esercizio di spirito e anche oggi cerco di praticarlo, seppur con maggiore difficoltà. Yuri era il nipote di una coppia di anziani iscritti al Sindacato dei Pensionati che in motorino veniva a farmi visita spesso. Parlavamo molto con il fare impacciato dei nostri 16 anni ma in poco tempo legammo una buona amicizia e passavamo molto tempo insieme. Sarebbe stato un soggiorno indimenticabile…e lo fu. Lo fu nel bene e nel male. Il 23 maggio accadde l’imprevedibile. Oggi, nell’ondata di violenza che quotidianamente lascia il tempo di un post su fb, una notizia letta a metà dal giornale al bar, divenuto ormai il pane quotidiano, gli orrori ci lasciano quasi indifferenti ma quello che accadde ebbe, ed ha, un eco enorme: morì la verità. Morì la lotta alla corruzione, morì un uomo, morirono lavoratori e donne, morì Giovanni Falcone.

Questo avvenimento provocò la paralisi delle nostre attività. Stretti sotto uno stand ad ascoltare la voce del Tg in edizione speciale, a guardare immagini che sapevano di set cinematografico, quella notizia aveva il sapore di un coaugolo di sangue nella gola, persino per me ignorante, all’epoca, di tante verità. Fu orribile. Fu crudele. Persino una donna africana, intenta nella vendita di oggetti etnici, spaventata dai nostri sguardi, si avvicinò a noi e cercò di capire cosa attanagliasse in quel momento i nostri animi. Parve chiaro che il nostro silenzio, le lacrime di molti, sbiadirono un po’ i meravigliosi colori del suo abito.
Ecco il ricordo che ho di quel giorno e chiedo venia per il poco meritevole stile giornalistico. Vuole essere un fermo immagine della mia vita così come lo racconterò a mia figlia. Lo dedico ai giovani, unica speranza, a coloro che insegnano, perché il sapere è la chiave della non violenza, a coloro che ogni giorno mettono in un angolo del loro cuore la paura per lasciar dilagare la giustizia e la libertà di ognuno di noi.

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