Elogio del rimprovero
Sta girando per la rete un video che riprende Franco Metta, sindaco di Cerignola (FG), che rimprovera duramente un bambino. Lo tiene per quasi un quarto d’ora e lo ricopre di insulti, tra i quali vola anche qualche parolaccia. La sua ira è stata scatenata dal fatto che il bambino abbia detto con vanto e con orgoglio di essere stato bocciato a scuola. Il sindaco si è lasciato andare ad una serie di rimproveri molto coloriti, tra i quali il più gentile e pacato era: “Sei uno scemo!”.
Fermo restando che non condivido per nulla lo spirito dell’umiliazione, e che un uomo non deve fare dell’insulto un’arma educativa, entro nel merito di una riflessione, ossia quella del rimprovero. Al di là del linguaggio scurrile utilizzato dal Sig. Metta, c’è una cosa che però ho apprezzato, e cioè la fermezza con la quale si condanna un atteggiamento spavaldo e superficiale da parte di un ragazzino che ha perso un anno a scuola. Tra i rimproveri c’era il richiamo a fare della vita una cosa seria, a non restare un ignorante (lui ha usato ben altre espressioni, ma il senso era quello), a non fare della mediocrità e dell’imbecillità una medaglia. Si dirà: “Ma è solo un ragazzino!”. Rispondo: “Appunto!”. L’essere ragazzini non è un giustificativo per arrendersi in partenza, per abituarsi alla superficialità, perché “tanto poi non succede niente”. Ed è qui che emerge il senso più vero del rimprovero. Oggi si ha paura di rimproverare. Si pensa che il rimprovero possa causare traumi, disturbi, e quant’altro, per cui si preferisce sempre una via più tenue, che spesso però scivola nell’accondiscendenza.
Tante volte assistiamo ai genitori che sbranano letteralmente gli insegnanti se rimproverano i loro figli a scuola, nonostante certe volte l’evidenza giustifichi pienamente l’intervento educativo. Tante volte ce ne lamentiamo. Ed è per questo che (parolacce e insulti a parte, lo ripeto ancora!) ho apprezzato il coraggio di un uomo più grande che non ha paura di rimproverare un ragazzino che sta sbagliando. Lo fa con fermezza, con forza. Lo fa esattamente come non si fa più. Oggi si preferisce spesso “la buona maniera”, la docilità disincantata. Ma ci si dimentica anche di sottolineare che questo politically correct altro non è che la cartina di tornasole di una società sempre più ipocrita e disinteressata, che però nasconde scenari spietati, perché abitua alla non curanza, alla superficialità, alla resa incondizionata di fronte alla vita che interpella.
Ben vengano quindi gli scappellotti (ben altra è la violenza, che qui condanniamo fermamente!) e i rimproveri! E non abbiamo paura di farlo, se sono mossi dal sincero amore e dal bene per i nostri figli!