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I cinque pilastri del volontariato e per il volontario

Padre Stefano Locatelli apre il suo sorriso, assieme alle slides (missione-e), e prima di cominciare a parlare del tema affidatogli (“Perché fare volontariato?”) dice con voce e sguardo soddisfatti: “Qui è iniziato tutto”.

In quell’attimo di pausa, prima che riprenda a parlare, penso a dove mi trovo, ovvero presso la casa generalizia delle Suore Calasanziane, e ai luoghi che ho appena visitato, quindi la stanza dove viveva e dove morì la Madre fondatrice Celestina Donati e la tomba dove ancora dorme.

“Perché fare volontariato?” si domanda e ci domanda Padre Stefano e ripercorro nella mia mente le decine di volte che mi sono anche io sentito rivolgere questa richiesta dalla casalinga stanca del marito che cercava come evadere, dalla madre con figli grandi che doveva ricostruirsi un perché, dai giovani adolescenti che pensavano facesse figo, dalle coppie appena sposate in cerca di collocazione parrocchiale.

Concetti che è sempre bene ripassare e che, col tempo, acquisiscono significati e radici diversi.

1 – Missione è “rompere la crosta di egoismo che ci chiude nel nostro io”. Mi ha colpito che questa frase fosse presentata scritta su una immagine di sfondo che ritraeva degli alpinisti camminare, immersi nella neve, sulla cresta della montagna. Cresta. Crosta. La crosta è qualcosa che blocca, che chiude, che non è neanche bella da vedere, proprio come l’egoismo. Il primo pilastro del volontariato è fare questo passo in avanti oltre il proprio io e, soprattutto, non solo per il proprio io, per stare bene, perché voglio sentirmi bene.

2- Missione è sempre partire ma non è divorare chilometri. Ho pensato ai migliaia di chilometri che percorro ogni mese per lavoro e mi son detto: meno male che almeno la mia Missione posso svolgerla anche dentro casa, con mia moglie, i miei figli o addirittura spingermi sul pianerottolo, verso il vicino, o per la strada, guardando ai bisogni del quartiere e via via arrivare fino a Tola in Nicaragua. Ecco la doppia dimensione dell’aiuto che ci fa sentire cittadini di Roma e cittadini del mondo: per i vicini e per i lontani (urbi et orbi). E’ possibile anche Volontariato a chilometro zero ma pure quello in quei paesi così lontani da non sapere neanche bene dove siano collocati.

3 – Il Battesimo ci invia. Come ha detto Papa Francesco col Battesimo e la conseguente incorporazione nel Popolo di Dio che “marcia nella storia”, “tutti nella Chiesa siamo discepoli e tutti siamo missionari nel posto che il Signore ci ha dato”. Tutti, perché “anche il più grande è discepolo e il più piccolo è missionario” e “la nuova evangelizzazione deve implicare un nuovo protagonismo di tutti, di tutto il popolo di Dio; un nuovo protagonismo dei battezzati, di ciascuno dei battezzati”,

4- Educare è liberare. Che forza che ha questa affermazione, vero? Da quante e quali schiavitù aiutiamo a liberarsi le persone alle quali ci rivolgiamo? Educare alla vita libera dalla morte dell’aborto, educare alla responsabilità libera dalle schiavitù delle dipendenze, educare organizzando la scuola nei paesi in cui la povertà e l’analfabetismo sono ancora molto diffusi, aiuta questi popoli a liberarsi dalle tirannie e dai regimi dittatoriali. Educare porta come diretta conseguenza il liberare. Quanto è bello rendere libera una persona! Vai, ora vai con le tue gambe, con la tua mente, corri e creati il tuo presente!

5 – la Fede è un fatto di gruppo. La Fede è un fatto comunitario. Anche Gesù da subito ha voluto fare un gruppo. A che serve un gruppo? A correggersi fraternamente, a sostenersi, a confrontarsi, a sostituirsi ma anche a pregare e cantare assieme, a dividersi le spese per fare un viaggio di formazione, a stare bene moltiplicando la gioia di esserci e di esistere.

Da questo incontro di Firenze mi sono portato via questi cinque pilastri che voglio condividere con voi perché anche qui siamo un gruppo, ci chiamiamo Amical, e siamo in cammino nella città e nel mondo.

 

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