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Chi ruba per fame non commette reato

Di qualche ora fa la sentenza della Cassazione che assolve un senza tetto  sorpreso a rubare generi di prima necessità ( stiamo parlando di due porzioni di formaggio ed una confezione di wurstel del valore complessivo di quattro euro).  L’imputato ha pagato alle casse soltanto una confezione di grissini ed ha nascosto gli altri generi alimentari sotto la giacca. Per i giudici della Cassazione la condizione dell’imputato e le circostanze in cui è avvenuto l’impossessamento della merce dimostrano che egli si impossessò di quel poco cibo per far fronte ad una immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi, agendo quindi in stato di necessità. L’accertamento dell’esistenza di una causa di giustificazione ( lo stato di necessità, appunto) impone l’annullamento della sentenza della Corte d’appello perché il fatto non costituisce reato.

Ma quando un fatto costituisce reato?

Secondo la tesi così detta tripartita un fatto costituisce reato se configura una condotta tipica ( ovvero prevista come reato dal legislatore); se la condotta tenuta è imputabile almeno a titolo di colpa al soggetto che l’ha posta in essere ( non avrebbe senso punire chi ha commesso un fatto senza averne coscienza), e se, infine, non sussistono cause che giustificano l’azione commessa.

Il fatto commesso dal senza tetto in questione configura certamente una fattispecie tipica prevista dal nostro legislatore: si tratta della classica ipotesi di furto. Quindi è presente il primo requisito che deve sussistere per accertare un reato. Potremmo poi discutere se la sottrazione indebita  di un acino d’uva possa o meno rientrare nella fattispecie di furto, posto che in questo caso molto probabilmente non sarebbe di fatto leso il bene giuridico che si intende tutelare prevedendo la fattispecie tipica di reato, ma aprirei un fronte di discussione sui reati bagatellari troppo ampio.

Certamente il senza tetto ha agito con coscienza e volontà perché voleva rubare quei bene necessari per calmare i morsi della fame. Esiste, quindi, anche il cosiddetto “elemento psicologico” del reato.

Tuttavia ha agito spinto dalla necessità di far fronte ad una immediata ed imprescindibile esigenza di alimentarsi. Lo stato di necessità, al pari della legittima difesa, è una causa di giustificazione i.e. una scriminante che esclude il reato. Le cause di giustificazione, infatti,  sono quelle situazioni, nelle quali un fatto normalmente vietato dalla legge, quindi reato, sono consentite e, di conseguenza sono esenti da pena.

In altri termini, se c’è reato non c’è stato di necessità; se c’è stato di necessità, non c’è reato.

Ecco quindi spiegato il ragionamento della Cassazione.

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