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Padre Ibrahim, il parroco di Aleppo (Siria), si racconta a Nomadelfia

Padre Ibrahim, parroco di Aleppo (SIRIA) interviene alla ‘Quinta giornata per la vita’ tenutasi a Nomadelfia sul tema “Etica di fine vita tra deontologia e diritto”

“Quando ho visto che il tema di oggi del vostro incontro era quello della Vita ho ricordato subito la nostra Aleppo che è quasi una città di morti. Si parla di 300.000 morti in 5 anni in questa crisi siriana, ma la cifra è molto più alta.

Se voi riusciste a guardare con i miei occhi sicuramente la prima cosa che manca è la mancanza di medici e di medicine. Bravi medici e chirurghi che lavoravano ad Aleppo sono scappati, quelli che si sono fermati in questi 5 anni hanno lavorato tanto e sono lì per servire la popolazione. Ultimamente si è sentita molto la mancanza degli psicologi per dar vita ad una procedura che faccia stare bene e ritornare alla salute psicologica .

La parte più colpita è quella delle donne e dei bambini. Adesso abbiamo tante mamme con questi traumi, e non ci sono le strutture per accoglierle. Ieri sera mi ha chiamato una mamma che si trovava insieme alla figlia con me quando un missile ha colpito la nostra chiesa durante la santa messa. La bambina non riesce più ad entrare in chiesa, a rimanere da sola e fa fatica a respirare. C’è tanta sofferenza di chi oggi sta ancora sotto le bombe.

La difficoltà è la sofferenza. Quando guardiamo questa realtà ci chiediamo sempre: è possibile che la morte vinca sempre sulla vita ad Aleppo? Quello che noi cerchiamo di fare –  sacerdoti e medici – è di lottare per la dignità dell’uomo, per difendere la vita. Cerchiamo di creare un fronte di speranza, creare un luogo dove questa vita e la dignità dell’uomo venga custodita.

Non è soltanto la nostra lotta ma nel campo della battaglia siamo tutti assieme anche con voi. Ciò che vi chiedo è che, mentre trascorrete questa vostra giornata di formazione, abbiate lo sguardo verso queste realtà. Non vi chiudete nelle vostre piccole realtà. Abbiate il cuore aperto verso la vita e verso la dignità dell’uomo e siate creativi nella carità. La carità è coraggiosa, la carità è creativa. Abbiate nel vostro intelletto la capacità di immaginare quello che vi ho raccontato ma abbiate anche lo spazio del cuore aperto perché qualche volta, magari abbiamo bisogno anche del vostro aiuto.

Dobbiamo essere uniti in questa battaglia per il bene, battaglia della carità e sono sicuro che il Signore che guida i nostri passi ad Aleppo guiderà i passi di ognuno”.

Alla fine del Convegno abbiamo intervistato padre Ibrahim, il cui appello ci ha toccato profondamente.

Cosa si porta nel cuore da questa rapida visita fatta a Nomadelfia?

È la prima volta che vengo, per me è stata una sorpresa di aver conosciuto questa realtà bellissima. Sembra di vivere l’idea della Chiesa primitiva. Avere un cuore e una mente unica condividendo tutto il quotidiano. E’ un’idea evangelica che viene realizzata qua con tanta bellezza. La fede non è mai un cammino personale ma è un cammino comunitario e dentro a questo cammino comunitario ci sono i diversi cammini personali.

A Nomadelfia questa idea viene incarnata ed è una cosa che fa gioire il cuore. Ringraziamo il Signore per don Zeno e per questa sua spiritualità e per tutte le persone che riescono a vivere oggi questa realtà. E’ una testimonianza che viene data a tutto il mondo e io spero che questo messaggio diventi una spinta per rendere migliore un mondo dove regna la guerra, la divisione, dove si mettono muri e frontiere. Che tutto il mondo riesca a vivere comunitariamente come questa realtà di Nomadelfia.

Cosa vuol dire essere parroco ad Aleppo?

Essere parroco significa essere padre e madre di 600 famiglie. Abbiamo il servizio spirituale ma prima di tutto ci troviamo di fronte all’emergenza sanitaria e quindi c’è tutta una corsa per provare ad aiutare l’uomo nei suoi bisogni primari. Lo aiutiamo anche a fare una lettura diversa della realtà che stanno vivendo che è una cosa molto difficile.

Essere parroco ad Aleppo significa essere sempre a contatto con una procedura di morte e di sofferenza. Con la grazia del Signore riusciamo sempre ad andare oltre e a fare il nostro servizio nel migliore dei modi possibili.

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