cultura

Pari a un granello di senape – un racconto di Benedetta Bindi

“La leggerezza e la pesantezza sono entrambi legate a una filosofia di vita”. Erik Pevernagie

Ricordo ancora quando mi correva incontro sulla spiaggia, le cadeva il cerchietto, lo rimetteva in testa anche se pieno di sabbia, poi si lanciava tra le mie braccia e io la tenevo stretta a me . Facevamo la lotta, le piaceva quando da sdraiato l’alzavo in alto. Vedevo il suo volto immerso nel cielo, il suo sorriso appoggiato tra due nuvole, felice mi diceva: “Sei Superman papà !” Si rideva moltissimo insieme, come adesso non capita più. Un cenno della mano quando mi vede rientrare dal lavoro, il suo mutismo quando a tavola io e mia moglie parliamo. Ci ascolta mi dico o pensa altro? Quanto pesa il suo cervello? Come sarà? Quello di
Einstein ho letto su un articolo pare fosse piccolo, ma che avesse una quantità di giri e di solchi superiori alla norma. Queste particolarità strutturali, potrebbero aver contribuito alle sue straordinarie capacità intellettive. Virginia avrà qualcosa di straordinario? Lo penso mentre l’osservo muoversi per la casa, immersa nei suoi pensieri, o mentre tiene tra le mani il suo cellulare, con un’ attenzione tale che non mette nemmeno quando svolge un’equazione. Che dote avrà? Una domanda che gorgoglia in me, goccia a goccia come un rubinetto chiuso male. Se incrocio un suo sguardo le sorrido, o abbasso le palpebre e faccio subito
qualcosa.

La mia anima deve farsi leggera, tengo duro. Ho saputo che la metto in agitazione. Il motivo è solo uno, i miei occhi la costringono a vedere se stessa e questo non le piace. Le logoro l’anima, ha detto alla zia: che paroloni usano i ragazzi. In punta di piedi, io e mia moglie, quasi invisibili, per non turbarla, per non caricarla di aspettative, abbiamo imparato, io con fatica, a farle meno domande possibile. Seguiamo i consigli di Marilena, una psicoterapeuta, tutto ovviamente a insaputa di mia figlia. L’ho chiamata io, mi ha dato il suo telefono un collega, pare che sopra i quarant’anni i problemi con i figli siano un denominatore comune di molti genitori.

Virginia studia al liceo Linguistico, ma non ha ancora idee precise sul suo futuro, questo è il problema che ci affligge, a noi ovviamente, non a lei. Io e sua madre staremmo tranquilli a saperla indirizzata verso qualcosa di preciso, io soprattutto. Il brutto di chi pretende molto da se stesso, è che lo fa anche con gli altri. Lei invece mi porta sull’altalena, mi spinge su e giù, ma non come facevo io quando era piccola, lei mi lancia forte, mi fa sentire il vuoto. Una sensazione che mi prende allo stomaco ogni volta che propone un progetto e poi l’abbandona. Veterinaria era stato il suo sogno da quando era piccina, abbiamo a casa due gatti, e Roccia la tartaruga. Fino a due anni fa avevamo anche Sammy il criceto, e Stella un uccellino. Il nostro appartamento sembrava l’arca di Noè. Poi un giorno Virginia, dopo aver assistito a un incidente, dove un cucciolo di cane è rimasto schiacciato sotto un’auto, ha deciso che era meglio fare l’attrice. Ha detto che preferiva lavorare nel mondo dell’immaginazione, perché la realtà fa troppo male. Avrà influito il suo corpo, che in maniera tardiva compiuti quattordici anni, sembrava cambiare, sviluppava di giorno in giorno, sorprendendo anche noi delle sue perfette proporzioni. Lei se ne accorgeva, i ragazzi a scuola anche, addirittura uno del quinto anno le faceva la corte. Così ha fatto un corso di recitazione a scuola, l’insegnante ci ha convocato per dirci che era portatissima, un talento naturale. Ci ha consigliato uno stage, tenuto da un’insegnante dell’actor’s studio. Ci è costato una fortuna, ma la vedevamo così entusiasta, che io e mia moglie ci siamo detti: “Proviamo!” Appena l’ ha terminato ha detto che il mestiere dell’attore è un lavoro da egocentrici, non è per lei. Non sappiamo cosa sia successo, forse una delusione per qualcosa, in ogni caso di fare l’attrice non ne ha più parlato, ed io in fondo io ne ero felice, non avrei sopportato di vederla baciarsi in qualche film, o in una scena di nudo. Poi, tempo fa, ha pensato di fare la scuola di interprete a Trieste, ci siamo informati sui costi, ho contattato un mio amico che vive lì per affittare un appartamento. La immaginavo già in treno. Invece un mese dopo, ha detto che non voleva più partire. Forse si è messo di mezzo un ragazzo, chissà.. si sarà innamorata? Ora dice che le piacerebbe fare la costumista nel cinema, perché è abilissima a cucire, e ha un gran gusto nell’abbinare.

Non riesce a decidersi, portata com’è a guardare il nero e il bianco di ogni cosa. Un pomeriggio esasperato ci ho discusso: “ Virginia non puoi venire qui, con la tua bella faccia e distruggere tutto quello che ti ho organizzato”, mi sono alterato sì, le ho urlato che doveva decidersi, che la vita non è un gioco con i Lego, che fai e disfai in continuazione. Lei ha posato le mani sui fianchi, ha puntato i suoi occhi da gatto nei miei e mi ha urlato: “Perché tu vuoi sempre prendere e mai dare? Perché non impari tu a modificare il tuo ristretto punto di vista? Io cambio idea papà, allargo i miei orizzonti, non sono come te ancorato da sempre ai numeri! E poi farò diciott’ anni ad agosto! Anche alcune mie amiche stanno ancora capendo cosa fare! Cosa vuoi da me?!”

Poi mi ha dato la schiena ed è corsa in camera suo sbattendo la porta. Io alla sua età sapevo già che mi sarei laureato in matematica e probabilmente l’avrei insegnata, cosa che poi è successa. Dopo quella lite, che mi è costata una settimana di muso lungo di Virginia, non discuto più con lei, niente scenate, solo un lento naufragare della mia volontà in quella di lei. Eppure io sogno ancora per mia figlia, un ruolo di comando, a dirigere una grande azienda, o una start up, o non so nemmeno io cosa. Provo vergogna per le mie proiezioni, alla psicologa ho detto che mi va bene tutto per Virginia, anche vederla a incartare tulipani, i suoi fiori preferiti. Non so perché ho mentito, forse perché vorrei accadesse che accettassi qualsiasi lavoro decida di fare. Quando siamo andati ad Amsterdam ha riempito una valigia di bulbi di fiori. E tutti i vasi che abbiamo sul balcone, sono opera della sua dedizione. Infatti dimenticavo che un’altra delle sue idee, scritte e poi cancellate con un rigo rosso come fossero errori, era fare la decoratrice floreale per eventi. Il giorno che me l’ha detto avevo una partita di tennis, mi sono vestito in fretta e non ho risposto, ho urlato la mia rabbia spingendo forte sulla racchetta, le mie palle erano proiettili, ho battuto Marco in due set, ma ho tenuto per me la ragione di tanta energia, quando mi ha domandato come mai ero una furia. Io voglio vedere in Virginia una passione, una sola ma divorante, come la mia per i numeri, o quella d’ insegnare di sua mamma.

Adriana si sveglia ogni mattina alle sei e trenta, si veste felice di mettere basi solide a piccoli marmocchi. Lei ha uno scopo, quello di dare a ogni bimbo che ha in classe, il desiderio d’imparare. A volte penso che potrebbe vivere tranquillamente anche senza di me, mia figlia ancora di più. Io sono pesante, la schiaccio al suolo, la opprimo, mentre lei vorrebbe solo volare. Virginia adesso preferisce sua madre, più calma, paziente. Eppure di notte, da piccina, se stava male urlava il mio nome, se cadeva al parco correva da me, io le curavo le ferite. Il mio corpo per lei si è tramutato in domanda: “Che vuoi fare nella vita?” Anche se negli ultimi due mesi ho seguito i consigli di Marilena, sono stato in silenzio e ho tenuto la lingua ben ferma. Mi lascio andare di notte, estenuato dal lento gocciolare di sensazioni oscure, che non confesso più a nessuno per non apparire patetico, noioso. Non è facile, lei è la sola figlia che ho, eppure mi evita con me un dialogo? Come fossi una gomitata alle costole. Non capisce che desidero solo il meglio per il suo futuro? Che porto questa croce?

Allora mi domando perché, perché viene un momento nel quale è troppo tardi per dirlo, e si diventa troppo pigri, o timidi e non si riesce a pronunciare più: “ Ti voglio bene”.

Virginia vorrebbe solo sentirsi dire questo da me, mi ha detto la psicoterapeuta. Glielo ripetevo ogni sera, quando le leggevo un libro, per farla addormentare. All’epoca preferiva me a mia moglie. Adriana puntualmente si addormentava sdraiata sul letto, e mia figlia ancora sveglia attendeva la fine del racconto, strattonandole il braccio. Così chiamava sempre me per leggerle una favola, finché le sue palpebre si abbassavano sotto il peso delle mie parole. Che idiota sono, se penso a tutta quella gente che muore in mare, a quei poveri ragazzi, bambini con tutta la vita davanti a sé, spariti nel fondo marino. “Miracolo!”, sì devo urlare questa parola ogni giorno, se penso che Virginia è nata e cresciuta dall’altra parte del mondo, quello buono diciamo, o forse per meglio dire più fortunato, perché di buono ne abbiamo poco anche noi. Forse sono stato duro con lei perché la vita non mi ha concesso nessun sorriso, né ornamento. I miei erano persone umili, contadini. Mi sono fatto una carriera da solo, ho lottato per la mia cattedra di professore di matematica all’università. Io non ho partorito Virginia, ma ho sempre sentito un filo che ci legava, come fosse un secondo cordone ombelicale, quello però mai reciso. Questo filo che con gli anni si è allungato sempre di più, assottigliato e ora si sta assorbendo sotto il peso delle mie aspettative. Ogni cosa che la riguarda mi fa sobbalzare come fossi una piuma, non ho riserve di serenità alle quali attingere, mia moglie sì. Mia figlia si sente defraudata della sua libertà, questo è il termine che ha usato con mia sorella giorni fa. Si sfoga con la zia. Lei non la giudica, certo…. Antonella ne ha combinate così tante che può solo tacere. Io sempre retto, come una riga, lei sempre contorta come un labirinto, nel quale puntualmente cadeva dentro e non sapeva uscirne. Virginia è simile a lei, sogna quel presente dove non ci sono più definizioni, esigenze e giudizi. Ma la realtà
è ben diversa. Mia sorella ora fatica ad arrivare a fine mese, è separata, fa qualche supplenza qua e là e chiede ancora aiuto ai miei.

Oggi ho deciso di camminare, per distrarre il cervello, una passeggiata in città da solo. Ho visto la vita in tutta la bellezza, persone che mangiavano ai tavolini al sole, calze, magliette, messe ad asciugare fuori, nei vicoli del centro, una coppia che si baciava, silenziosa, assorta, ignara di ciò che le accadeva intorno. Gli sono passato davanti senza far rumore, come a non voler interrompere quel rituale d’amore. Poco più avanti un gruppo di belle ragazze, sorridendo entrava al cinema, avevano all’incirca l’età di mia figlia. Avvicinandomi ho cercato di cogliere le loro parole. Nei loro sguardi era riassunta l’intera gioia di essere giovani. Il mio cervello si è come destato dal suo pessimismo e ho pensato che alla fine in qualche modo Virginia ce la farà. S’ innamorerà e magari farà dei figli. Dal caos nascerà una strada, devo abituarmi alle linee curve, io appartengo a un’altra generazione. Ho sempre dovuto vedere il futuro come una griglia, ben definito. Nella mia testa ha sempre regnato l’ordine, e gli obbiettivi da raggiungere. Mia figlia è diversa, in questo momento sta dicendomi: “Fidati, credi in me”.

Ora mi sono sporto dalla finestra, c’è una lieve brezza, oggi è stata una giornata particolarmente calda, sento le campane che suonano, sono quelle della chiesa a fianco del mio palazzo. Io preferisco i numeri a Dio, mia moglie no, ha scelto quest’ appartamento anche perché così ogni mattina, prima di andare a scuola, entra dieci minuti in parrocchia e prega. Ieri dopo la mia passeggiata sono entrato in casa, lei era bella come lo è sempre, cucinava la torta alle mele che io e Virginia adoriamo. Mi ha detto sorpresa: “ Oggi ti vedo sereno” le ho risposto che mi sto sforzando di essere ottimista. Lei mi ha detto: “ Se avrete fede pari a un granello di
senape, direte a questo monte: “Spòstati da qui a là”, e esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile” poi mi ha sorriso, toccandomi il naso con le mani sporche di farina ha messo la teglia nel forno. Allora mi sono detto che noi pensiamo di essere infelici per qualche motivo, ma sono solo maschere d’infelicità da togliere e poggiare sul tavolo, insieme ai nostri dubbi. Nulla sarà impossibile a Virginia mi son detto. Il suo cervello ha giri e solchi se non superiori, comunque nella norma, mia figlia ce la farà. Poi mentre Adriana girava la manopola del forno, l’ho abbracciata da dietro, stretta, le ho baciato il collo, scosso da un impulso di buon umore, e di passione per la vita, quello che voglio trattenere per un po’ nella mia mano, per non gettarlo subito via, come fosse un sassolino in una scarpa.

Benedetta Bindi

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