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Insegnare la fatica ad un figlio

(di Alberto Pellai). Come si fa a insegnare la fatica ad un figlio, a dargli incarichi e responsabilità? Molti genitori sembrano disarmati di fronte a questa prospettiva. Lo stesso menefreghismo con cui un figlio a volte non si occupa dei suoi doveri scolastici, viene da lui usato per schivare le richieste di impegno che i genitori propongono per essere aiutati a casa. “Metti la camera a posto, occupati della raccolta differenziata dei rifiuti, taglia l’erba del giardino, prepara la cena”.

La lista degli impegni da assolvere può essere lunga un chilometro, ma in molte famiglie non serve a nulla. Sembra essere questa la situazione che ha portato due genitori di un 16enne respinto in Veneto a lanciare, attraverso i social, un appello ad un potenziale datore di lavoro: “prendete nostro figlio alle vostre dipendenze, insegnategli la fatica anche in assenza di retribuzione”. Sembra essere una richiesta che sottende il bisogno di una terapia d’urto: nostro figlio non sa cos’è la fatica, qualcuno gliela insegni.

Però c’è qualcosa che non funziona in questa procedura riabilitativa. Insegnare la fatica ad un minorenne non può essere il compito di un datore di lavoro. Non si manda un figlio a lavorare “gratis” presso uno sconosciuto, per dargli una lezione. Quello che ne deriverebbe rischia di causare una demotivazione ancora maggiore. Perché trasforma il lavoro in fatica e sfruttamento.

Un figlio deve imparare la responsabilità all’interno di un’esperienza di lavoro, deve averne una retribuzione giusta e il genitore può eventualmente esigere di “mettere via” il compenso guadagnato dal 16enne per pagare tasse scolastiche, libri e le ripetizioni che si renderanno necessarie nel momento in cui si trovasse ad andare male a scuola anche nel successivo anno scolastico.

Rendere un figlio responsabile non vuol dire sottoporlo a mortificazione o sfruttamento. Significa metterlo in condizioni di riconoscere che la vita ha delle regole e che l’adolescenza è il tempo in cui tali regole devono essere imparate, sia sul piano teorico che sul piano pratico. Chiaramente, questi genitori hanno un merito nel loro progetto riabilitativo: non hanno fornito al figlio un alibi per la sua bocciatura. Per esempio, non hanno incolpato la scuola perchè è stata troppo severa.

Auguriamo a questi genitori che possano trovare una pizzeria che permetta al ragazzo di svolgere un lavoro stagionale, impegnativo e correttamente retribuito. Auguriamo a questo figlio di poter avere una sera tra i suoi clienti, i suoi genitori da servire, mostrando loro che quando il gioco si fa duro, “lui è un duro che comincia a giocare”. Più in generale auguriamo a tutti i nostri figli e a noi genitori di trasformare una sconfitta o un errore in un’occasione di crescita e di reale apprendimento.

(L’articolo completo è accessibile tramite il link)

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