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FRATELLI TUTTI (Una riflessione di Don Joseph Ndoum sull’Enciclica del Papa)

Tutti i fratelli e le sorelle, questo significa che è tutta la nostra vita che deve essere un’esistenza per gli altri e al servizio degli altri. È una nuova consapevolezza della nostra appartenenza alla stessa umanità, per costruire insieme un mondo più giusto, fraterno e pacifico. Questo sogno non deve sembrare un’utopia d’altri tempi. Si tratta infatti del presente.

Queste due espressioni provengono dalla Lettera Enciclica Fratelli tutti, che Papa Francesco ha appena pubblicato, il 4 ottobre, sulla fraternità e l’amicizia sociale, ispirandosi alla vita e agli insegnamenti di San Francesco d’Assisi (1181-1226), religioso cattolico italiano, diacono e fondatore dell’Ordine dei Frati Minori. Non c’è bisogno di ricordare che questo Ordine è caratterizzato da una sequela Christi nell’amore fraterno, nella preghiera, nella semplicità (povertà), nella gioia, nell’evangelizzazione e nell’amore per la creazione di Dio. Francesco d’Assisi è considerato anche il precursore del dialogo interreligioso; per questo motivo la sua città natale è stata scelta da Giovanni Paolo II come sede della Giornata Mondiale della Preghiera nel 1986. A questa giornata sono seguiti altre giornate di preghiera conosciute come Incontri di Assisi.

Infatti, è con l’espressione «Fratelli tutti» che San Francesco d’Assisi, rivolgendosi a tutti i suoi fratelli e sorelle, gli proponeva dei consigli o un modo di vivere al gusto del Vangelo. Iniziando la sua recente Enciclica con la stessa espressione, Papa Francesco desidera porre un accento particolare su uno stile di vita per il nostro tempo: ci invita a un amore che superi le barriere della geografia e dello spazio. Si tratta, infatti, qui, di una fraternità aperta che ci permette di riconoscere, valorizzare e amare ogni persona indipendentemente dalla sua origine, dalla sua lingua, dalla sua religione o dalla sua vicinanza fisica: non importa dove la persona sia nata o viva! È in questa prospettiva che San Francesco, a suo tempo, seminava sempre la pace ovunque si trovasse, e frequentava i poveri, gli abbandonati, gli emarginati, i malati, i trascurati, insomma gli ultimi.

Per realizzare la fraternità universale e l’amicizia sociale di cui parla il Papa Francesco nell’Enciclica Fratelli tutti, sono lieto di proporre in questo articolo di concentrare la nostra attenzione su due importanti passi del Nuovo Testamento: Mt 7,12 e la parabola del Buon Samaritano (tra gli altri testi che il Papa elenca nel secondo capitolo dell’Enciclica).

In Matteo 7,12 Gesù dice: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge e i Profeti». Questo richiamo, che è universale, comprende tutti gli uomini solo per la condizione umana di ciascuno ( in ragione della condizione umana di ciascuno) , perché l’Altissimo, il Padre che è nei cieli, “fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni” (Mt 5,45). Di conseguenza – e questo è un problema di pura giustizia – ci viene chiesto di essere compassionevoli, così come il nostro Padre celeste è compassionevole verso di noi (cfr Lc 6,36).

Nel testo del Buon Samaritano (Lc 10,25-37), Gesù ci dice che c’era un uomo ferito (ebreo) sdraiato sulla strada, assalito. Molti gli sono passati accanto ma sono fuggiti, non si sono fermati. Erano persone che ricoprivano posizioni importanti nel tempio. Non sono stati in grado di perdere qualche minuto per assistere il ferito o almeno per portargli aiuto. Qualcun altro si è fermato, un samaritano, gli ha fatto il dono della vicinanza, si è preso cura di lui personalmente, ha pagato di tasca sua e si è preso cura di lui. E chi è?

Il Samaritano del Vangelo, è Gesù stesso che “scende”, si china, si inchina sull’umanità peccatrice, lasciata mezza morta dopo il peccato originale, se ne fa carico, e ne diventa il prossimo.

Il protagonista di questa parabola del Buon Samaritano è Dio stesso che ci rivela il suo modo di agire, il suo modus operandi, attraverso le scelte di Gesù. Si tratta di una vera “buona notizia”: che Dio, in Cristo Gesù, si fa prossimo all’uomo.

Alla fine del Colloquio con il Dottore della Legge, Gesù chiarisce in cosa consiste l’amore: «va’ e anche tu fa’ così», cioè: anche tu diventa ogni giorno un buon samaritano per il tuo prossimo. Si tratta innanzitutto di amare il prossimo e di avvicinarsi a lui, abbattendo tutte le barriere spesso interne.

Per esempio, il samaritano non chiede chi è l’altro, di quale paese, di quale religione, di quale partito, di quale etnia è. Davanti a lui c’è semplicemente un povero bisognoso. Il suo approccio all’altro è determinato da questa semplice connotazione: un uomo senza qualifica o titolo (signor nessuno). L’unico qualificatore o titolo che ha e che è valido è quello di persona bisognosa.

«va’ e anche tu fa’ così»: queste sono le parole conclusive di Gesù. Come possiamo capirle?

È molto significativo e suggestivo che Gesù usi due verbi che indicano rispettivamente il movimento (“Andare”) e l’azione (“Fare”). Il Dottore della Legge, che interroga Gesù, all’inizio mostra solo il desiderio di voler conoscere o di voler mettere alla prova; ma alla fine si ritrova con qualcosa da fare. Ciò che Gesù esige da lui, come da noi oggi, non è una conoscenza sterile, ma un compito: una conoscenza che porta al movimento e all’azione, una conoscenza per amore.

Come dice papa Francesco al n. 64 di Fratelli tutti, e concludiamo con questo:

«Dobbiamo riconoscere la tentazione che ci circonda di disinteressarci degli altri, specialmente dei più deboli. Diciamolo, siamo cresciuti in tanti aspetti ma siamo analfabeti nell’accompagnare, curare e sostenere i più fragili e deboli delle nostre società sviluppate. Ci siamo abituati a girare lo sguardo, a passare accanto, a ignorare le situazioni finché queste non ci toccano direttamente».

Don Joseph Ndoum

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