editoriali

Papà è morto di nostalgia, non di covid – lettera firmata

Papà è ufficialmente morto di covid 19, come ci ricordava l’assurdo adesivo giallo sulla cassa, io so bene che il motivo principale della sua scomparsa è stata la nostalgia.

Papà era un uomo sano, anziano, ma sano; la settimana prima del suo ricovero ha caricato e scaricato dall’auto una mountain bike da adulto. Dopo solo tre giorni di tosse e febbre è stato portato da noi all’ospedale, dove è entrato con i suoi piedi e dove più di un medico lo ha definito un caso non critico.

La situazione ha iniziato a degenerare inesorabilmente dopo 48 ore, quando un uomo che non si è mai allontanato dalla famiglia si è ritrovato solo, spaventato e circondato da estranei vestiti da marziani.

È entrato in ospedale sabato 14 novembre e mercoledì 18 ci telefonano per avvertirci che lo dovranno contenere e sedare, papà continua per almeno altri tre giorni a reagire, il dottore lo definisce un “leone cui è stata tolta la famiglia”, poi comincia a diventare sempre meno reattivo fino a spegnersi al 19simo giorno di ricovero.

In nessun modo voglio accusare medici e infermieri di cui, sia pur “a distanza”, ho percepito professionalità e in qualche caso umanità.

Io sono arrabbiatissima con lo Stato e soprattutto con un protocollo tanto crudele quanto controproducente. Tutti i medici con cui ho parlato in questi giorni hanno sottolineato che dai 70 in su uno stato di “disorientamento” in ospedale è normale, tale disorientamento è più o meno grave a seconda della persona, ma in tutti i casi si ritorce contro il recupero del malato.

Dunque se l’ambiente ospedaliero e la solitudine sono sicuramente causa di problemi nei pazienti anziani, perché in 9 mesi non si è fatto nulla per evitare di costringere malati e parenti a un simile strazio? Perché la tuta di protezione funziona per medici, infermieri, inservienti e non può funzionare anche per un solo caro a malato?

La crudele assurdità a cui io e la mia famiglia abbiamo assistito riguarda poi le notizie. Se non fosse stato per qualche amico che lavorava all’ospedale e per la nostra intraprendenza, probabilmente non avremmo saputo nulla riguardo alle sorti e all’evoluzione della malattia di papà. Lui non riusciva a capire in che reparto fosse, poi dal famoso mercoledì non è stato più in grado di chiamarci né di rispondere al telefono, dovevamo sperare nel buon cuore di medici e infermieri per fare le videochiamate (3 in 19 giorni) e supplicare ogni giorno, più volte al giorno, che gli facessero vedere i video e ascoltare gli audio che gli mandavamo. La risposta era “dorme, non capisce”.

La disumanità delle regole anticovid ha poi avuto pieno compimento nell’eliminazione di qualsiasi rito funebre. Mi chiedo, si igienizza tutto e un corpo senza vita non può essere igienizzato? Dopo 23 giorni di malattia peraltro, ipotizzando che la carica infettiva si fosse pure neutralizzata.

Sulla fiducia, abbiamo accettato tutto ciò che a distanza ci è stato detto, sulla fiducia crediamo che mio padre sia morto di covid, sempre sulla fiducia ci convinciamo che quella cassa contenga realmente le spoglie di mio padre (piccolo aneddoto: dal servizio mortuario dell’ospedale mi è arrivata la documentazione di una signora e non di mio padre per errore).

Perché i nostri governanti invece di pensare a regole tanto irrispettose quanto inutili, come l’adesivo morto per covid sulla bara, non cercano di risolvere problemi veri, in primis la necessità del malato di avere contatti reali con almeno un parente.

Lo Stato invece di buttare soldi in una miriade di futilità, perché non ha investito qualcosa per ridare dignità al malato di covid? C’è un modo per evitare a tanti altri, anziani soprattutto, il calvario di papà?

Lettera firmata

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