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Maradona. Grazie, fratelli napoletani e argentini per aver gridato al mondo che più forte della morte è l’amore

Campione. “Ubi amor ibi oculos”. Permettetemi, amici napoletani e argentini, di accostarmi a voi in punta di piedi per dirvi “grazie”. Vi ho visto singhiozzare e piangere come bambini, vincendo quel rispetto umano che, in genere, le lacrime ce le fa ingoiare, per la morte di un uomo che non era vostro figlio né vostro padre.

Piange chi ama, voi, quindi, sapete amare.

E in questo nostro povero, e tante volte triste e algido mondo, non c’è niente di più bello, caldo, santo e duraturo dell’amore. Dio è amore.

Permettetemi, amici napoletani e argentini, di confessarvi che mi avete commosso nel profondo. Vi ho guardato nei tanti servizi in onda sulle reti televisive e nei video che si rincorrevano sui social, cercando di capire. Un fenomeno di portata mondiale come questo non può non portare in sé un insegnamento, un monito. E io voglio imparare.

Ne ero già convinto prima, ma il vostro dolore, sincero, schietto, palese, per la morte di Maradona, mi ha confermato che l’uomo non basta a se stesso; che per vivere ha bisogno di giocare, amare, sognare. Ha bisogno di pregare.

Vi siete radunati in tanti nei pressi dello stadio a Fuorigrotta, nei vicoli stretti della nostra vecchia Napoli, a Buenos Aires, in tante città del mondo. Per fare che cosa?

Niente e tutto.

Sentivate forte il bisogno di stare insieme e lo avete fatto, anche correndo seri rischi in questo tempo di pandemia. E a me, prete, è ritornato in mente Gesù che insiste nel raccomandarci rimanere uniti. Soli si muore.

Avete poggiato gli uni il peso che vi accasciava sulle spalle del vicino, ed io anche questo trovo nel Vangelo. Ne sono certo: se fosse stato possibile, voi napoletani sareste volati in Argentina a sfilare davanti al corpo senza vita di Maradona, dando fondo ai vostri risparmi. Lo avete ricordato, gli avete parlato, lo avete proiettato in cielo, il vostro campione. Qualcuno addirittura lo ha definito un dio.

Non m’ interessa – almeno per adesso non mi interessa – sottolineare le esagerazioni vostre o sue, o emettere giudizi sulla sua vita privata. Gli uomini sono uomini, con vizi e virtù che non sta a me giudicare, e non lo faccio, non lo voglio fare, non mi interessa farlo. Almeno in queste ore.

Quello che mi interessa, invece, e che faccio volentieri, è prendere nota che anche voi, come me, come ogni essere umano nel profondo del suo cuore, vi ribellate alla morte. La subìte come una frattura che si interpone e schiaccia per sempre lo scorrere bello della vita e degli affetti. E – contro ogni umana evidenza ed esperienza – avete detto: no, la morte non esiste, la morte è una menzogna. Tu, Diego, vivi. Devi vivere per sempre. Ma questo è il Vangelo. E voi – senza volerlo? Senza saperlo? – in questi giorni lo avete annunciato al mondo.

« O morte dov’è la tua vittoria? O morte dov’è il tuo pungiglione?» si chiedeva già san Paolo. La morte va guardata negli occhi, va sfidata; non ha, non può avere, non deve avere l’ultima parola. Qualcuno dice che questo modo di fare e di pensare sia solo la proiezione nei cieli del bisogno dell’uomo di essere immortale. Può darsi, e la cosa non mi spaventa affatto. Sarebbe un bisogno, questo, che non ci siamo scelti, non ci siamo dati, ma che ci siamo ritrovati dentro, e che pretende di essere soddisfatto, come il bisogno di mangiare, di bere, di amare.

Grazie, fratelli napoletani e argentini per aver gridato al mondo che più forte della morte è l’amore; che il cuore dell’uomo è talmente vasto da abbracciare la terra, e non una volta sola.

E adesso una pensiero per te, campione. Sai, alla scuola elementare, tanti anni fa, la maestra mi fece imparare a memoria una poesiola. Non l’ho più dimenticata.

A un bambino, Tita, è morto il cardellino. Tita piange tutte le sue lacrime mentre con le manine fredde lo seppellisce in giardino. La nonna tenta di consolarlo ma non ci riesce. Commossa e intenerita da quella scena, la vecchia si ritrova a mormorare:,« Ben io vorrei sentire sulla fossa della mia pace il pianto di quel bimbo. Piccolo morto la tua morte è bella».

Ecco, fratello Diego Armando Maradona, la tua morte, accompagnata dal pianto e dalla preghiera di milioni di persone sparse per il mondo, – almeno da un punto di vista umano – è stata veramente una “morte bella”.

Riposa in pace, campione. Dio, ricco di misericordia, perdoni a te e a tutti i nostri cari defunti – e a noi quando sarà il momento- i peccati commessi per la fragilità della condizione umana.

Padre Maurizio Patriciello.

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