editoriali

Qualche considerazione e un forte dubbio sul rientro a scuola e sulle nuove regole del Cominfarm

      È stata dura ma ce l’abbiamo fatta. Dopo mesi di attesa, il Comitato Tecnico Centrale, anche detto Cominfarm, ha finalmente cominciato a scrivere le linee guida della scuola. Sono state ascoltate le parti sociali, è stato chiesto il parere di diversi esperti del settore pedagogico e di quello medico sanitario. È stata studiata la normativa vigente in altre nazioni europee e, in accordo con le Regioni, si sono vagliate le più varie possibilità. Un vero e proprio brain storming  ha coinvolto l’intera opinione pubblica. Si è parlato di insegnare nei parchi pubblici, nelle caserme, al cinematografo. Qualcuno ha proposto i panneli di plexiglass tra i banchi, altri invece hanno chiesto a gran voce di proseguire con la Dad, ovvero la didattica a distanza. Alla fine si è trovata una strada che, almeno per il momento, ha messo tutti d’accordo. Si torna “in presenza” nella cara e vecchia scuola, ma con alcuni accorgimenti.

    Tra gli “accorgimenti” ce n’è uno in particolare che ha richiamato la nostra attenzione, e cioè la disposizione dei banchi.  Stando alle linee guida del Cominfarm il layout della classe – a loro piace parlare in inglese – sarà questo qui:

   Fatta eccezione per la presenza dei banchi monoposto – che per il momento quasi nessuna scuola ha – in effetti la disposizione dei ragazzi nello spazio della classe è tale e quale a quella precedente. Del resto non poteva essere diversamente da così, la scuola è da sempre soggetta a normative di sicurezza molto stringenti, che prevedono già una “distanza di sicurezza” tra alunni. C’è però un’altra novità che il layout ci mostra e che, curiosamente, non è stato ancora messo in luce quanto dovrebbe. Mi riferisco alle posizioni della cattedra e dunque del docente all’interno della classe.

   Dopo essersi spremuti ben bene le meningi, i tecnici del Cominfarm hanno deciso che, per garantire la sicurezza nazionale, la cosa più saggia è trasformare la cattedra in un piccolo banco. Non solo, sempre per la salute pubblica, la suddetta “cattedrina” va incollata al muro e il docente ha l’obbligo  di sedersi al suo fianco. Gli svantaggi dovuti a questa cambiamento sono sotto gli occhi di tutti. All’interno della classe si creano diversi angoli ciechi, in altre parole molti alunni spariscono dallo sguardo dell’insegnante. Il che ovviamente vale anche all’inverso,  il docente sarà invisibile per l’intero arco dell’anno a diversi alunni. La postura scorretta di insegnanti e bambini, costretti a stare per giornate intere con il collo in tensione, del resto, non potrà non avere conseguenze sul lungo periodo.

I vantaggi invece sono misteriosi. Appartengono forse al piano del mito. Posizionando cattedra e prof al lato della classe non aumenta di certo la distanza tra le cosiddette “rime buccali” – è così che al Cominfarm chiamano le bocche. Non si garantiscono linee di fuga più sgombre e soprattutto non diminuisce la condivisione dello “spazio interattivo” (vd leganda), anzi. Il docente dovrà fare più strada per giungere alla sua cattedra che, posizionata al suo fianco anziché di rimpetto, toglierà una barriera naturale che impedisce ai ragazzi che devono alzarsi per un motivo o per un altro di avvicinarsi troppo.   

   Ci viene a questo punto una domanda: non è che il docente è stato spostato di lato per lasciare il centro della classe e della scena – è proprio il caso di dirlo – al protagonista di nostri giorni: lo schermo?

Non è che i milioni di sedie con i braccioli ordinate dal ministero, sono l’anticamera della sostituzione dei libri di testo con i tablet?

Non è che la cattedra è stata ridotta per il medesimo motivo? Chi, del resto, può fare lezione senza una cattedra? Solo chi si serve di libri e lavagne multimediali. E chi invece può studiare su un bracciolo? Solo un bambino che fa i suoi bravi esercizi sul suo bravo device. Il dubbio che si stia sfruttando l’emergenza sanitaria per “promuovere” la digitalizzazione della scuola e della didattica è molto forte.

Paolo Velonà     

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