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Per il bene della scuola pubblica, aiutare le paritarie

Entro la fine del mese la maggioranza delle attività italiane riaprirà i battenti. Non le scuole. Per le scuole si deve attendere settembre (caso unico in Europa) e anche allora non sarà una ritorno alla normalità. Nulla è stato deciso in modo definitivo, ma si ipotizza una scuola a settimane alterne, per rispettare le regole del distanziamento: metà settimana andrà metà classe e l’altra metà nella seconda parte della settimana, con gran pena per studenti, genitori e anche insegnanti. Tuttavia stiamo parlando sempre della scuola statale. La scuola paritaria potrebbe invece non riaprire del tutto. La minaccia latente era stata spiegata su queste colonne da Anna Monia Alfieri. Che ieri, con Carlo Amenta, per il think tank Istituto Bruno Leoni, ha pubblicato uno studioUna scuola per tutti,  in cui spiega più nel dettaglio la crisi che verrà nelle scuole non statali. E soprattutto, cosa si dovrebbe fare per evitare una crisi in più rispetto a quella, già grave, dell’istruzione pubblica.

Prima di tutto è bene fare una premessa. In ogni discussione sulla scuola, si è sempre fatta una netta distinzione fra scuola statale e privata, a seconda del gestore. Si tratta, come in molti altri casi, di una falsa contrapposizione: in Italia la scuola è sempre pubblica, a prescindere dal gestore. Occorre partire da questa premessa per comprendere la reale dimensione della crisi che verrà: le paritare falliranno in gran numero perché le famiglie, impoverite dalla crisi da coronavirus, non potranno più permettersi di pagare le rette. Quindi gli studenti rimasti a casa si riverseranno nella scuola statale, che ha già problemi di risorse (e anche spazio, almeno finché si dovrà mantenere il distanziamento). Quanto sarà grande il fenomeno? Si prevede la chiusura di circa un terzo delle scuole paritarie. Il costo di assorbimento di tutti i loro studenti nella scuola statale diverrebbe insostenibile.

Parlando di freddi numeri, nella scuola pubblica paritaria studiano in totale 866.805 studenti, circa un decimo del totale degli studenti italiani (dati del Miur per l’anno scolastico 2019-20). Se dovesse chiudere veramente un terzo delle circa 12mila scuole paritarie, 290mila studenti di tutte le età rimarrebbero a spasso e la maggior parti di essi dovrà essere iscritta a una scuola statale. Se già la scuola statale ha difficoltà a far rispettare il distanziamento con gli attuali iscritti, figuriamoci come sarà la situazione dopo questo vero e proprio esodo.

Non è solo un problema di spazio, ma anche di costi. Che in un periodo di crisi contano molto più del normale. La scuola pubblica statale crea l’illusione della gratuità. In realtà, il contribuente spende, per ogni studente di una scuola statale, 8 volte tanto il costo che sostiene per uno studente di una paritaria. Fra contributi diretti e indiretti (detrazioni), uno studente di una paritaria costa al contribuente, in media, 752 euro all’anno, il resto è a carico della famiglia (che paga le tasse anche per la scuola statale). Uno studente di una scuola statale costa al contribuente, in media, 6006 euro all’anno. Assorbire gli studenti delle paritarie che potrebbero fallire, comporterebbe un costo aggiuntivo di almeno 1,6 miliardi di euro all’anno a carico del contribuente. Nella peggiore delle ipotesi (il passaggio di tutti gli studenti delle paritarie alla scuole statali), il costo aggiuntivo arriverebbe fino a 5 miliardi di euro all’anno.

Per la sostenibilità del sistema, è dunque meglio aiutare le scuole non statali a rimenare vive. Prima di tutto per una mera questione di spazio: in tempi di distanziamento è bene che si aggiungano scuole e insegnanti, non che si riducano. Poi per i costi: aiutare direttamente le famiglie è meno che assorbire gli studenti delle paritarie nella statale. Ipotizzando un contributo pari alla metà del costo medio per studente, come identificato dal Miur, la spesa per l’intero popolo degli studenti delle scuole paritarie si aggirerebbe sui 2,4 miliardi di euro, che, se iscritti alla statale, sarebbe più del doppio (4,9 miliardi). Secondo Anna Monia Alfieri, potrebbe essere ulteriormente ridotto se si adottassero i costi standard.

Ovviamente non è solo una questione di spazi e di denaro. La crisi delle scuole paritarie riduce enormemente la libertà di scelta educativa delle famiglie. Un luogo comune (quasi certamente condiviso da questo governo) recita: “le private sono scuole privilegiate per i figli dei ricchi”. Lo saranno definitivamente se procede questa tendenza, quando sempre meno genitori potranno permettersi di pagare la retta delle scuole sopravvissute e tutti gli altri dovranno adeguarsi all’educazione fornita dallo Stato. Se non si interviene ci sarà meno scelta e sicuramente meno uguaglianza.

di Stefano Magni – da La Nuova Bussola Quotidiana

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