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Lucio Dalla, il “nano gigante” giullare di Dio

Otto anni fa moriva Lucio Dalla, «uomo pieno di vita passata e di vita futura che poteva rimanere per ore a guardare le stelle» come lo ha definito una volta il collega e amico Roberto Vecchioni.

Nella giornata di ieri, immersi come siamo nell’apprensione da Coronavirus, tra notizie che si accavallano, partite (e messe) sospese, battute e vignette con le quali cerchiamo di esorcizzare la paura, in pochi hanno ricordato questa ricorrenza, anche sobriamente e delicatamente come forse sarebbe piaciuto a lui.

Artista eclettico, colto e popolare (nel senso migliore del termine), Lucio Dalla non ha mai amato ostentare gli aspetti più profondi della sua vita privata e della propria interiorità. Ha sempre lasciato alle sue canzoni questo compito, consegnandoci un testamento di preziosi capolavori che evocano storie, emozioni, memorie, sogni, atmosfere, mondi piccoli o immensi…

Se in pochi hanno ricordato la sua morte, dunque, forse ancor meno sanno della grande fede che animava il “nano gigante” della nostra musica: Dalla è stato davvero un “Giullare di Dio”, che ha cantato la sete di infinito che ci costituisce, come sanno fare solo i veri artisti; tutte le sue creazioni sono pervase di umanità e spiritualità, di carne e di anima, sono perle che deliziano ed elevano lo spirito.

Inoltre, pescando qua e là si possono trovare alcune dichiarazioni, come quelle rilasciate all’Osservatore Romano nel 1997, quando confidò: «La fede cristiana è il mio unico punto fermo, è l’unica certezza che ho».

Parlò di questi aspetti poco prima di esibirsi davanti a Giovanni Paolo II a Bologna, accanto a Bob Dylan, Celentano, Petrucciani e molti alti grandi artisti. «Sono credente – aggiunse in quell’occasione – credo in tutto ciò in cui si può credere, in Dio come nell’arte, nel mare, nella vita. Credo in Dio perché è il mio Dio. Lo riconosco negli uomini, nei poveri soprattutto, in tutti coloro che hanno bisogno di aiuto. Mi ha sempre colpito la decisione di Cristo di nascere povero. Lui, povero, è il futuro».

In tutto questo periodo, segnato da tinte cupe, torniamo a fissare le stelle, come amava fare Lucio, dedichiamoci a piccole cose belle, proviamo ad accorgerci dei tanti doni che quotidianamente ci piovono dal cielo (o da uno degli “Angeli” che ci capitano accanto, che «sono milioni di milioni e non li vedi nei cieli, ma tra gli uomini sono i più poveri e i più soli»).

Un caro amico, commentando su un gruppo Whatsapp le tante notizie sul Coronavirus, ha scritto «Consoliamoci con qualcosa di bello» condividendo il pezzo che segue. E allora ognuno inserisca un cd di Dalla nel proprio stereo o ripeschi su Youtube quella canzone che più ha segnato la sua vita, e leggendo questo brano sentirà che “Lontano si ferma un treno… Ma che bella mattina, il cielo è sereno”.

Michele Grano

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