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Vivere in montagna è come il matrimonio: nella buona e nella cattiva sorte

Eccole questa mattina le nostre montagne. Qui sono a Fiastra. Incontro per una stradina una vecchietta che cammina tutta imbacuccata. Fa freddo. Ci torno un po’ indietro per fotografarla.
Si accorge e mi guarda da lontano. In giro di lunedì mattino non c’è quasi nessuno. La montagna per chi la vive sempre, è più dura di questi tempi. Gli abitanti dei nostri monti invece sono sempre lì: chi ci porta la legna, chi coltiva legumi, chi fa formaggi, chi alleva animali, chi apre l’ufficio postale, chi sta al bar, chi in farmacia, chi affetta nella bottega degli alimentari. Sono anche loro che garantiscono la vita giù a valle fino al mare.

L’acqua e la terra sono beni preziosi da custodire ogni giorno, anche per chi la montagna la vive solo il 25 aprile, il primo maggio o il 15 di agosto. Anche per chi non la vuole vivere mai. I servizi non nascono come funghi e queste piccole attività, a fatica, mantengono aperto anche in giorni dove non gira nessuno o quasi. Loro lassù, tutti imbacuccati, ci stanno anche quando il freddo ti congela le mani.

Molti dei pochi che ci vivono, ci sono nati, altri lo hanno scelto anche dopo questo sisma di restarci. Le foto senza sole esprimono la verità quotidiana. Vivere in montagna è dura. Per chi lo vuole è comunque un privilegio, come un matrimonio, come lo stare insieme: nella buona e nella cattiva sorte. Ricordiamocelo quando frequentiamo questi posti. Facciamolo un po’ meno da “cittadini” e con uno spirito un po’ più da “compaesani”.

Barbara Olmai

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