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Film “La grande bellezza” di Paolo Sorrentino. Le radici sono importanti!

A fine giugno torna nelle sale cinematografiche, per qualche giorno, e in versione integrale (anche se sarebbe più corretto dire “integrata”, visto che conterrà quasi mezz’ora di scene inizialmente tagliate), il film premio Oscar La grande bellezza di Paolo Sorrentino, che tanto ha fatto discutere ai tempi della sua prima uscita nelle sale cinematografiche. C’è chi sostiene che non si tratti che di una paccottiglia di roba mescolata alla rifusa e con un arrogante senso di acrobazie intellettualistiche ad irrobustirne una trama, che difatti parla del “nulla”. Per altri si tratta invece di un enorme capolavoro, figlio di un cinema che non si fa più, e che quindi trova molti impreparati, svelandoci e denunciandoci in aperta faccia l’aurea mediocritas nella quale siamo caduti. Io penso invece che la verità sia sempre non nel mezzo, ma in profondità. Una cosa è certa: quando un film divide il pubblico in tale maniera, senza dubbio ci troviamo di fronte a qualcosa che, nel bene o nel male, sta dicendo qualcosa di importante, qualcosa che, come si è detto, ci trova un tantino impreparati, non tanto perché vuole denunciare chissà che, ma perché invece mira ad andare in profondità. Un film così obbliga al confronto, al dibattito, alla domanda e anche all’imbarazzo del “non capire”. La bellezza è un tema che obbliga chiunque la cerchi ad andare in profondità, non a rimanere in superficie. La bellezza sconvolge, lascia senza parole. Non è lineare, e la si può trovare in qualsiasi forma, in qualsiasi ambito, anche in quelli più grotteschi.

 

La grande bellezza vive di un’aperta parentela artistica con un altro grandissimo capolavoro di tutta la storia del cinema: La dolce vita di Federico Fellini. Anche quello fu un film che al suo primo apparire nelle sale cinematografiche, fu letteralmente subissato di critiche di ogni tipo. Anche quel film vinse il premio Oscar. Anche quel film ha diviso il pubblico, tra chi lo considerava una “porcheria”, e chi invece lo vedeva come la frontiera del nuovo cinema italiano, che dal neorealismo ora entrava nel surrealismo onirico. Ed io penso che a questo punto le strade dei due film possano andare anche in parallelo (lo stesso Paolo Sorrentino a più riprese si è definito “discepolo” del maestro Fellini), e dirò di più: La grande bellezza in un certo senso è la riproposizione de La dolce vita ai giorni nostri. Ma andiamo per gradi…

 

Il film si apre con un gruppo di turisti asiatici che stanno visitando il Gianicolo. Si avverte il sottile senso del silenzio che aleggia tra i viali del Gianicolo, accentuati in modo etereo e celestiale dal coro dentro al Fontanone. Un turista prende la sua macchina fotografica e scatta un’istantanea su Roma. Ma nel momento in cui lo fa si sente male, e cade per terra, colpito dalla celebre “Sindrome di Stendhal”. La bellezza di Roma è troppa per lui, non la riesce a contenere.

E di contrasto un urlo straccia tutta questa atmosfera disincantata e quasi sacra, e ci si ritrova su una terrazza lussuosa nei pressi di Via Veneto (vi dice niente?), dove è in atto una forsennata festa di compleanno, tra hit dance (A far l’amore comincia tu di Raffaella Carrà), attori, personaggi televisivi, intellettuali. Si sta festeggiando il sessantacinquesimo compleanno di Jep Gambardella (interpretato da Toni Servillo), scrittore e giornalista (esattamente come Marcello Rubini), originario di Napoli e da tutti considerato “il re dei mondani”. Trasferitosi a Roma a poco più di venticinque anni, Jep aveva un solo obiettivo: diventare qualcuno di importante, e per fare questo doveva “non solo partecipare alle feste, ma avere il potere di farle fallire”.

La scena della festa di compleanno comunque si interrompe su un primo piano di Jep, che guardano fisso, con una voce/pensiero dice: «A questa domanda, da ragazzi, i miei amici davano sempre la stessa risposta: “la fessa”. Io, invece, rispondevo: “L’odore delle case dei vecchi”. La domanda era: “Cosa ti piace di più, veramente, nella vita?”. Ero destinato alla sensibilità. Ero destinato a diventare uno scrittore. Ero destinato a diventare Jep Gambardella”.

 

Emerge subito una grande conflittualità nell’animo di Jep, diviso tra mondanità e sensibilità. Quel conflitto che lo porta, subito dopo essersi “sballato” in una grottesca festa mondana, nei viali dell’Aventino, di prima mattina, e ad affascinarsi nel guardare il volto innocente dei bambini che stanno per fare la Prima Comunione. Una conflittualità che lo dividerà tra ricerca affannosa e appassionata della bellezza, e il lasciarsi adagiare nelle comodità di una vita annoiata e banale, dove si parla di “sciocchezzuole, pettegolezzi e vanità” per evitare il confronto con la verità. Una vita divisa quindi tra profondità e distrazione, che lo porterà ad accorgersi dei piccoli ed intensi barlumi di bellezza (i bambini che corrono nei giardini delle suore sotto casa sua, accanto al Colosseo), ma a non accorgersi che il suo vicino di casa è uno dei più potenti e pericolosi criminali italiani. Quando lo incontra il suo unico cruccio è dove abbia comprato il suo vestito…

 

Ma Jep Gambardella è un giornalista e critico teatrale fine e molto colto, dal fascino innegabile, nonostante l’età che sta avanzando, e da giovane è stato un eccellente scrittore, dando alle stampe un libro, da molti considerato un autentico capolavoro: L’apparato umano. A questo romanzo Jep non è mai riuscito a dare un seguito. I suoi amici sono divisi tra la stroncatura e l’adulazione. Stefania (interpretata da Galatea Ranzi), personaggio televisivo e “rivoluzionaria mancata”  ritiene L’apparato umano un libro molto limitato, frivolo e pretenzioso. Romano (interpretato da Carlo Verdone), uomo sempliciotto con ambizioni teatrali, ma che vive ancora in un appartamento con degli studenti, invece lo ritiene un capolavoro assoluto. Quest’ultimo poi è invaghito di una mediocre attricetta, ma dal cuore di pietra, “innamorata di tutti e di nessuno”, che puntualmente lo umilia, salvo poi ricordarsi di lui quando ne ha bisogno.

 

La vita di Jep è un susseguirsi quindi di notti festaiole e annoiate, dove l’arte diventa un pretesto per coprire il nulla (Flaubert stesso voleva scrivere un libro sul nulla), lavori saltuari per un giornale di critica letteraria e teatrale diretto da Dadina (interpretata da Giovanna Vignola), donna brillante ma affetta da nanismo, che lo invia ad intervistare personaggi strambi (come l’attrice di teatro di avanguardia che da capocciate sul muro, e ripetutamente presa in giro da Jep, che con due domande smonta la sua presunzione di essere un’artista), serate con i suoi amici spalmati su un divano a parlare di amenità (una sera in particolare Jep poi smonta pezzo per pezzo la vita della saccente e vuota Stefania), e lunghe passeggiate nei luoghi della bellezza romana, dove però lui avverte il sottile senso di “non essere nessuno”. La propria coscienza nessuno la può ingannare. Ma nella sua vita irrompe, come un fulmine a ciel sereno, una notizia che lo sconvolge: un giorno si presenta un uomo sotto casa sua, che gli comunica che è morta Elisa. Quell’uomo è suo marito, ma Elisa è stato l’unico vero e grande amore di Jep, che se la rivede ogni volta che va a dormire, sul soffitto della sua casa, dove immagina il mare della sua terra, ed Elisa adagiata sulla spiaggia. Elisa lo lasciò per circostanze mai chiarite, ma non aveva mai spesso di amarlo. Elisa fu la musa ispiratrice de L’apparato umano (“Dovevi essere molto innamorato quando lo hai scritto”, gli dice una sera Orietta, passeggiando per Piazza Navona). Elisa ha rappresentato la bellezza pura e semplice per Jep. Una bellezza che non si dimentica!

 

L’incontro con un vecchio amico, che dirige un raffinato strip bar, gli permette di conoscere Ramona (interpretata da Sabrina Ferilli). Ramona è la figlia di questo suo amico, ha quarantadue anni, e ancora pretende di cimentarsi con lo spogliarello raffinato. Spende tutti i soldi che guadagna, ma di queste spese non dice nulla a suo padre. Jep comincia ad avvertire un forte senso di affetto verso questa donna gretta, ma dotata di una forte sensibilità. Ed è così che Jep comincia ad introdurre Ramona alle varie feste, ma diversamente dalla vita mondana, preferisce farle conoscere le bellezza più nascoste di Roma, dall’Aventino ai vari palazzi nobili della Capitale. Ѐ a Ramona che racconta della prima volta con cui ha fatto l’amore, ma è anche a Ramona che spiega i segreti più reconditi della mondanità romana, fondata sull’ipocrisia e l’apparenza. L’occasione gli è data dal funerale di Andrea (interpretato da Luca Marinelli), un ragazzo ossessionato dalla letteratura, e figlio di Viola, una donna dell’alta borghesia romana, amica di Jep. Al funerale, davanti a tutti, Jep dice a Viola che le sarà vicino, soprattutto nei giorni del vuoto, e piange disperato mentre porta il feretro. Ma la sostanza è che Viola nei giorni seguenti si ritroverà sola nella sua casa, e più nessuno si interesserà a lei.

Ramona dal canto suo è malata di un male incurabile, e spende tutti i suoi soldi per curarsi. Ma alla fine Ramona muore, e la coscienza di Jep gli dice: “Adesso chi si occuperà di te?”. Ramona gli aveva chiesto del perché non avesse scritto un altro libro. Ramona gli aveva riaperto il cuore. Ramona gli aveva permesso di rivedere in fondo al suo cuore quella luce che gli aveva permesso di toccare corde profonde.

 

La Roma di Sorrentino però non poteva non soffermarsi sulla sua fede cattolica, ed è così che Jep un giorno si ritrova in una grande villa per una festa di matrimonio, ed ha la possibilità di conoscere il Cardinale Bellucci, secondo alcuni da giovane un potente esorcista, ma preso invece dalla sua passione per la cucina e le banalità. Jep tenta di porgli delle domande importanti sulla profondità della fede e della spiritualità. Ma a queste domande il Cardinale non gli risponde.

Nello stesso tempo però a Roma è attesa la visita di una certa Suor Maria, chiamata da tutti “La Santa”. Sorrentino decide per una suora che abbia una somiglianza impressionante con Madre Teresa di Calcutta, e che si occupi principalmente di povertà. Suor Maria da ragazza aveva letto L’apparato umano, e ci teneva ad incontrare Jep. Così si organizza una cena a casa di Jep, in compagnia del Cardinal Bellucci, di due nobili a noleggio, degli amici di Jep. In questa cena si dovrebbe decidere di un’eventuale intervista alla santa, ma il suo accompagnatore si rifiuta. Alle perplessità di Dadina, Suor Maria risponde che “La povertà non si racconta, si vive!”. Suor Maria è l’evidente antitesi alla vacuità del cardinale. Il Cardinale è prolisso e logorroico, Suor Maria silenziosa e misurata. Il Cardinale parla di sciocchezze, Suor Maria quando dice qualcosa, ha sempre un senso molto forte, soprattutto quando dice a Jep di nutrirsi di radici, perché “le radici sono importanti”. Ѐ abbastanza chiaro che le radici cui allude Suor Maria non sono quelle esteriori, ma i moti più profondi dell’animo umano. Sono le radici che Jep ha smarrito nel vortice della mondanità, andando dietro a “trenini che non vanno da nessuna parte”. Jep non ha più scritto un altro libro perché, pur cercando la grande bellezza, non era riuscito a trovarla. Ma la grande bellezza non è lontana da te, ma nel tuo cuore.

 

Il film termina con l’allontanamento di tutti gli amici: Romano torna a Nepi, dopo l’ennesima delusione; Viola, dopo la morte del figlio, si dedica alla Chiesa e alle missioni; Stefania, dopo la litigata con Jep, si allontana dal mondo mondano; Ramona, che aveva riacceso l’amore in Jep, muore. E la morte suscita in Jep una riflessione importante: “Tutto è sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio e il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti incostanti sprazzi di bellezza. E poi lo squallore disgraziato dell’uomo miserabile”. La vita non la si baratta con la vacuità, ma trova un senso nella bellezza. Il rumore di cui ci siamo circondati ci ha talmente abbruttiti da non farcela più riconoscere.

 

Roma è il teatro di questa bellezza, antica e sempre nuova, e così malamente degradata negli ultimi tempi. Ed esattamente come Fellini, Sorrentino qui propone solo una carrellata estetica (Sorrentino si prende anche la briga di andare alla ricerca della bellezza laddove questa non c’è: nei centri di chirurgia estetica, nell’abuso dell’infanzia a favore dell’arte moderna, nell’abuso delle droghe…), ma continuamente pone domande. Vuole accompagnare lo spettatore su quella Scala Santa, dove brilla la bellezza più vera e più pura. Non so quanto scientemente, ma è particolare!

Esattamente come La dolce vita, La grande bellezza si chiude con uno sguardo innocente che fissa nell’obiettivo: Il giudizio dell’innocenza.

 

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