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Can you feel my heartbeat… Nick Cave & The Bad Seeds a Roma

Nick Cave è un pezzo importante della mia formazione. Sono un amante della musica sin da tenerissima età, una passione che mi ha trasmesso mia madre. Quando ero piccolo, ricordo che spesso mi parlava dei cantanti che a lei piacevano da ragazza, e mi citava Bob Dylan, i Beatles, Franco Battiato… Poteva essere il 1990 o giù di lì. Comprammo una radio col mangianastri, e con essa una serie di cassette vergini. Mia madre aveva l’abitudine di registrare dalla radio le canzoni che le piacevano. Ed in contemporanea anch’io avevo preso questa abitudine. Così ho cominciato ad ascoltare la musica, che ha sortito su di me degli effetti particolarmente intensi (sempre mia madre mi racconta che quando ero ancora molto piccolo, lei accendeva la radio e notava che io mi alzavo nella culletta e mi muovevo al suono della musica), suggestivi.

Frequentavo le scuole elementari, e una volta la maestra ci diede da fare un compito a casa, diviso tra maschietti e femminucce. I primi avrebbero dovuto fare un tema sul proprio calciatore preferito, mentre le femminucce sul cantante preferito. Io a casa feci il tema assegnato alle femminucce, perché la musica per me è sempre stata più bella del calcio.

Alle scuole medie avevo scoperto il rock. Una sera del 1994 diedero in prima tv il biopic The Doors di Oliver Stone su Jim Morrison. Ricordo le primissime note di Riders on the storm, che aprivano il film: una suggestione! Mai sentita una cosa così! Bellissima! Certo, Jim Morrison lo conoscevo di nome, ricordo anche gli adesivi per automobili (cafonissimi per la verità) che lo ritraevano con una corona di spine attorno alla testa, ma mai avrei pensato che la sua musica fosse così bella, intensa. E a scuola ci scambiavamo le cassette, parlavamo di musica. Ed è proprio questa incessante scoperta della musica rock mi portò una sera del febbraio del 1995 a scoprire gli U2. Assieme ad un mio compagno di scuola andammo alla Standa della nostra città (Barletta), e trovammo una cassetta bootleg della band irlandese, che costava settemila lire. La comprammo in due e l’ascoltammo a casa. E anche quella fu una rivelazione.

I Doors e gli U2 furono e sono tutt’ora i capisaldi della mia formazione. Nick Cave lo scoprii più tardi. Nella mia smania curiosa di ascoltare sempre roba nuova, avevo diverse volte intercettato il suo nome, ma per un motivo o per un altro non lo avevo mai del tutto approfondito. C’era anche qualcuno che sosteneva che fosse troppo “pesante” e quindi lasciavo correre.

La sera del 1° maggio 2003 però in tv davano il Concertone di Piazza San Giovanni. Lo vidi con un gruppo di amici, e sapevo che c’era lui in cartellone come big straniero. Quale migliore occasione per incontrare questo “sacerdote oscuro” (come lo descriveva la critica) e la curiosità era tanta anche per via di un interessantissimo articolo di P. Antonio Spadaro su di lui pubblicato niente meno che su La Civiltà Cattolica. Quella sera suonò in solitaria due canzoni nuove dall’album Nocturama, Wonderful life e He wants you, e The mercy seat. Ecco l’ennesima folgorazione!

Il giorno dopo andai di corsa a comprarmi Nocturama e da lì in poi ho recuperato tutta la sua discografia, compresa dei dischi con i Boys Next Door, Birthday Party e Grinderman. Non mi restava quindi che vederlo dal vivo.

Il 2017 si è rivelato un anno particolarmente importante nella mia vita, proprio per la nascita di mia figlia. La musica, compagna di vita, ha caratterizzato quest’anno nello stesso modo. Ci sono stati gli U2 che hanno portato in tour il mio disco della vita, e c’è stato Nick Cave, che per un motivo o per un altro avevo sempre saltato dal vivo.

Il concerto si è tenuto al Palalottomatica. Nessuna band a supporto. Io e mia moglie siamo entrati e ci siamo messi a sedere. Calano le luci e parte una intro cupa e tetra che introduce l’ingresso dei Bad Seeds, con particolare ovazione per Warren Ellis, il geniale polistrumentista ce ha preso ormai il posto di Blixa Bargeld e Mick Harvey, sparring partner ideale di King Ink. Entra in scena Nick, in completo abito nero, si mette a sede e partono le prime note di Anthrocene, seguita da Jesus alone, prese entrambi dall’ultimo disco Skeleton tree, comporto in seguito alla morte tragica del figlio. I brividi mi corrono lungo la schiena e Nick attraversa il dolore come nessuno sa fare. Mi passano per la mente immagini bibliche mentre Nick canta “with my voice I’m calling you”. Come trovarsi dentro al Getsemani, con quelle parole che entrano direttamente nelle ossa.

Si prosegue con una intensa Magneto, dopodiché parte la nenia di Higgs bossom blues, trascinata e urlata. E poi giunge la devastazione sonora di From her to eternity, il pezzo che parla di Anita. Sembra di rivivere la scena famosa de Il cielo sopra Berlino di Wim Wenders, e lui mattatore e sciamano, si scompone, sussurra, urla, si getta per terra, si lancia sulla folla. Tupelo mantiene lo stesso tenore devastante. Jubilee Street invece, suadente e dolente, parla di prostitute ed aborti ed esplode in un assalto sonoro carico di rabbia ed energia malsana. Arriva il momento di ricomporsi, e giungono le carezze di The ship song e Into my arms, mentre dall’ultimo album si riprendono Girl in amber e la sintetica I need you. Red right hand giunge melensa e potente col suo bolero al rallentatore e le sue esplosioni isteriche. The mercy seat, la confessione di un condannato a morte prima dell’esecuzione sulla sedia elettrica. Si chiude il primo set con l’eterea Distant sky, angelica ed elegiaca, e Skeleton tree. C’è sempre speranza nel dolore! La vita non si ferma.

Il secondo set è aperto da The weeping song. Nick rompe definitivamente il confine tra artista e pubblico, scende tra la folla, l’arringa, la rimprovera quando usa il cellulare, la invita a battere le mani a tempo. Su Stagger Lee fa salire la folla sul palco, e ormai tutto è parte della sua arte. Si chiude con Push the sky away.

Io sono ancora tutto elettrizzato. È stato qualcosa di superlativo! Un’intensità piena e maledetta che non ho mai così respirato ad un concerto

Nick si getta sulla folla, che diventa parte integrante del suo dramma in musica. Poi non ho mai visto un pubblico così preso (nemmeno ai Radiohead). Nel settore dov’ero io non c’era manco un cellulare acceso, e tutti eravamo in trance, presi all’ascolto.

Perché gli altri sono showman, sono star. Lui è l’artista! E noi la sua arte…
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